Ai ventisette agosto
Era una notte oscura,
Commisero un delitto
Gli agenti della Questura...
7 Novembre.
Prima di scendere a Caporetto, ci siamo recati alle cucine del nostro battaglione, dove i nostri amici ci hanno regalato un caffè, come si dice in gergo militare «fuori d'ordinanza». Il tempo non è malvagio. In marcia! È la strada di circa due mesi fa. Ecco il laghetto di Za Kraju. Ecco il Cimitero del 6° bersaglieri. Un piccolo muro di cinta. In mezzo una grande croce, con tenaglia, martello, chiodi e un gallo più abbozzato che scolpito. Attorno attorno, le fosse. Quante? Un centinaio e più. Una è coperta da un grosso macigno. Mi avvicino e leggo:
Sottotenente Conte Luigi Alberti.
Su un grosso macigno c'è una bella epigrafe, deturpata, però, da un errore grafico. Invece di nuova, è scritto muoja. Un altro masso indica una fossa collettiva. C'è scritto sopra:
Qui tutti riuniti.
La visita di questo Cimitero solitario, a piè dei costoni ripidi del Monte Nero, ci rende melanconici e silenziosi. Incontriamo una lunga colonna di muli che viene da Ternova. Ecco Tresenga, formicolante di soldati. Le campane della chiesa — bella e grande — che suonano mezzogiorno, mi fanno una strana impressione. A Tresenga si lavora. Sorgono da ogni parte baracche. Da Tresenga a Caporetto pochi chilometri. Bella strada. Carrozzabile. Cominciano i segni dell'«altra vita». Incontriamo degli ufficiali dall'uniforme impeccabile. Attendenti pasciuti e rubicondi, a cavallo. I soldati hanno una cera, molto, molto meno selvaggia della nostra. La guerra, vista nelle retrovie, non è simpatica. Ecco l'Isonzo impetuoso e ceruleo. Caporetto. S'è — in questi due mesi — ingrandito, abbellito. Sempre lo stesso formidabile movimento di camions e di carri d'ogni genere. I paesani guardano con una certa curiosità i nostri abiti laceri e infangati, le nostre mani e i nostri volti sudici e anneriti. Noi siamo — modestamente! — un po' fieri, di essere oggetto della curiosità della gente.
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