Panorama meraviglioso. Abbracciamo con lo sguardo tutta la Conca di Plezzo, inondata dal plenilunio. Otto ore di marcia. Attraversiamo Plusna, rasa al suolo dagli austriaci e giungiamo alla tappa. In una baracca angustissima, capace di appena venti persone, trovano posto tre plotoni. Facciamo mucchio. È accanto a me un bersagliere nuovo venuto cogli ultimi complementi. È un contadino umbro, tale Arcioni, un tipo posato e tranquillo, che sembra disorientato e smontato. Mi domanda:
— Fratello, è vero che siamo venuti qui per una avanzata?
— Non lo so. E se anche fosse?
— Lo domando, per curiosità...
— Non so nulla. Coraggio! —
Sono stanchissimo e appena disteso a terra, mi addormento.
17 Febbraio.
Nevica. Corvée: tavole per le baracche e pali di ferro per «cavalli di Frisia». Zaino in spalla! La compagnia si sposta tutta in prima linea, nell'ultima trincea. Si fa ancora una buona marcia per una mulattiera quasi impraticabile. Monto di vedetta alla estrema destra della trincea. Sono riparato da sacchetti di neve gelata e da uno scudo di ferro. Tutto il parapetto della trincea è di sacchetti riempiti di neve: fragilissima. Dinanzi alla nostra trincea c'è un reticolato in gran parte sommerso dalla neve; un centinaio di metri più in su, si profila il semicerchio del reticolato austriaco. Fra i due reticolati ci sono delle masse grigie informi: sono cadaveri abbandonati. Notte serena, di plenilunio. Siamo molto fra la neve. L'occhio abbraccia un cerchio vastissimo di montagne che mi sono familiari. Alla mia destra si profilano il Monte Nero, il Vrata, il Vrsig, il Grande e Piccolo Jaworcek. Spettacolo fantastico. Ordine di innastare le baionette e di sparare qualche colpo, intermittentemente. Il capitano Bondi, che ha il comando interinale del battaglione, passa verso la mezzanotte in ispezione la trincea.
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