Pomeriggio. Arriva la posta. Tutta roba in ritardo. La posta nuova non ha ancora, come diciamo nel nostro gergo, «trovata la strada».
6 Aprile.
Giornata movimentata quella d'oggi. Scrivo queste righe, a notte alta, nel «blockhouse» illuminato da un mozzicone di candela. I miei compagni dormono. Stamani ho compiuto la solita ricognizione. Siamo giunti sino al costone che per la sua strana conformazione viene chiamato «spina di pesce». In quel punto la neve è alta oltre dieci metri. Ha colmato gli scoscendimenti e formato una specie di pianoro.
Durante tutta la mattinata, violento duello delle artiglierie di medio e grosso calibro. All'una del pomeriggio ho ricevuto un ordine-fonogramma di intensificare la vigilanza e di lavorare attorno al «blockhouse» essendoci probabilità di un attacco nemico. Ci siamo messi immediatamente al lavoro.
Mentre le artiglierie ricominciavano il loro bombardamento reciproco, abbiamo scavato una trincea a destra e una a sinistra della ridotta. Qui opporremo la prima resistenza. Poi ci chiuderemo nel «blockhouse» che ha tante feritoie quanti sono gli uomini di guardia. La consegna è semplice e categorica. I «blockhouses» devono resistere a oltranza, sino all'ultima cartuccia. Abbiamo infatti un'abbondante dotazione ai munizioni.
Il tenente ci ha detto:
— In caso di attacco, voi siete i «sacrificati» se i rinforzi non giungono in tempo. —
Posa di reticolati. Oltre i posti di vedetta, i fili di ferro dentato sono intricatissimi.
Il bombardamento nemico sul Volaja è durato sino a notte. Due granate sono cadute poco lungi da noi, ma senza scoppiare.
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