Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     Ci sono in ogni compagnia una quarantina di individui indefinibili, che possono essere valorosi o vigliacchi, a seconda delle circostanze. Il rimanente si compone di refrattari, di incoscienti, di qualche canaglia che non sempre ha il coraggio di rivelarsi, per la paura del Codice Militare.
     Queste cifre possono variare, ma la proporzione è quella. In definitiva, il «morale» dei soldati dipende da quello degli ufficiali che li comandano.
     Non è il caso — ora — di dire ciò che si è fatto per tenere alto il «morale» dei soldati italiani e ciò che non si è fatto. Verrà il tempo anche per questo discorso.

     8 Aprile.
     Sono smontato di guardia dai «posti avanzati». Nel pomeriggio, le solite cannonate. Chi ci bada più?

     10 Aprile.
     Niente di nuovo. La nostra fatica consiste adesso nel rintracciare e scoprire i sentieri che la neve ha sepolto. Squadre di operai borghesi lavorano attivamente a costruire nuove «ridotte» e formidabili sbarramenti con «tagliate» di abeti.


     Un volontario italo-inglese così scrive al fratello Marano Arturo, della mia squadra; è un documento interessante:
     «Caro fratello, sono sette mesi che mi trovo sotto le armi inglesi, ma ancora non sono stato in battaglia, ma se mi toccasse di andare sarei contento di andare a combattere con quei barbari germanesi, sarei contento di morire, ma prima vorrei che qualche germanese mi passasse fra le mani. Caro fratello, tu mi dici perché non ho raggiunto le nostre armi italiane. Se avessi potuto sarei venuto. Ho scritto al Consolato italiano a Vancouver in Canada e non mi ha mai risposto. Così raggiunsi le armi inglesi e per la verità non si sta male. Io non parlo l'inglese, ma mi «rangio» per bene. Diamoci coraggio tutti e tre i fratelli sino alla vittoria e dopo raggiungeremo la casa paterna tutti e tre insieme, per non più abbandonarla.»