26 Aprile.
Notte un po agitata. Verso le due le mitragliatrici austriache hanno incominciato a «cantare»; nove bombe sono cadute in prossimità della nostra «ridotta» ed anche alcuni shrapnels.
Corre voce che abbandoniamo questa posizione, per recarci in altra del fronte, ma sempre in zona Carnica. Smontato di guardia.
Quando si è costretti a vivere in molti, bisogna abbrutirsi quel tanto che basti per sopportare gli inevitabili inconvenienti, d'ordine materiale, ma soprattutto spirituale, della promiscuità.
* * *
Nel pomeriggio, una valanga enorme di neve si è staccata dai pendii dell'Omladet e ha imboccato due canaloni: a un certo punto, la massa bianca faceva un salto di un centinaio di metri, e riempiva col suo fragore la valle. Finalmente il Volaja mostra la sua gobba nuda e non più circondata da nebbia e nuvole.
Verso sera violento bombardamento delle nostre posizioni, sulla selletta, tra il Vas e l'Omladet.
C'è l'ordine di movimento. Si parte!
28 Aprile.
Sveglia di buon'ora. Il Volaja ci ha voluto regalare — a guisa di addio — un'ultima bufera di neve. Giungono i primi soldati di fanteria che ci danno il cambio. Zaino in spalla. Scendiamo. Prima tappa al bivio di Pierabech-Navagnist, per attendere gli altri plotoni della compagnia. Giù nella valle non c'è più neve e fa caldo. Seconda tappa a Forni, per l'adunata di tutte le compagnie del battaglione. Due ore di libertà. Colazione all'albergo della Corona. È con me Reali. Una stanzetta al piano superiore chiara e pulita. Alla parete un bel ritratto a penna di Camillo Cavour, con questa dicitura in francese: Premier Ministre du Roi de Sardaigne. Una vecchia — di età assai avanzata, ma ancora arzilla — sta agucchiando, vicino alla finestra. Le domando:
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