Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     Qui, le montagne sono più scoscese di quelle che abbiamo lasciato. Abbiamo di fronte la vera parete del Montasio, la cui cima tocca i 2754 metri ed è incappucciata di bianco.

     2 Maggio.
     Dopo tanti mesi, ho dormito nuovamente sotto la tenda. La prima volta, dopo il mio richiamo, fu a Caporetto, nel settembre. Sonno dolce, profondo, riparatore. Stamani, grande sole. In fondo, scroscia il Dogna. La valle è angusta; meglio, non esiste. Le montagne, a destra e particolarmente a sinistra, scendono a picco. Poche ore di lavoro intenso e abbiamo trasformato l'accampamento. Sotto la tenda abbiamo messo uno strato di fronde di abete e di muschio profumato. Ai lati abbiamo piantato degli alberi per nasconderci alla vista dall'alto. Si respira. Vita semplice. Penso a Rousseau e al suo «ritorno alla Natura».

     3 Maggio.
     Un Taube ci ha fatto una prima visita, ma volava altissimo. Conoscenza di alcuni soldati del Genio minatori. Sono interventisti. Uno di essi, Nicola Pretto di Valdagno (Vicenza) mi ha dato da leggere un volume degli «Scritti» di Giuseppe Mazzini. Pomeriggio di calma assoluta. Ho letto la Nuit de Rimini. Peccato che il testo sia lardellato di errori di stampa. Mazzini vi afferra. Ho divorato la Lettera a Carlo Alberto. L'avevo letta da studente. C'è in questo scritto di Mazzini qualche cosa di profetico. Ho trascritto sul mio taccuino:
     «Non v'è guerra possibile per la Francia ove non sia nazionale; ove non s'appoggi sulle passioni delle moltitudini, ove non s'alimenti d'uno slancio comunicato ai 32 milioni che la compongono».