Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     Verso la pianura s'inalzano adagio adagio tre grandi palloni-drago. Qualche colpo dei loro fa cilecca. Specie i grossi calibri;
     Passano in alto, lentamente, quasi ansimando e gemendo, i grossissimi proiettili che vanno molto lontano. Io, tutto solo, fuori della mia tana — a mio rischio e pericolo — mi godo lo spettacolo auditivo e visivo. Rombo di un velivolo nostro che fila verso Gorizia. Dal Golfo di Panzano s'addensano nuove nubi temporalesche. Finché dura lo scirocco non farà bel tempo. Crepuscolo tranquillo. Sono andato a trovare un amico tenente, romano, che ora comanda una sezione di mitragliatrici. Non lo vedevo più dal Rombon. Egli mi ha narrato che i disertori austriaci hanno manifestato tutti un sacro terrore dell'artiglieria italiana. Molti di loro venivano dalla Galizia.
     — Là, è un paradiso a paragone del Carso — dicono. L'artiglieria russa fa pum-pum-pum a lunghi intervalli, ma non fa il fuoco a tamburo come l'italiana. —
     Il rancio giunge alla sera. È l'unica distribuzione dei viveri in 24 ore. La razione è ridotta. L'appetito è sempre quello. Serata movimentata. Verso le nove, un attacco nemico si è delineato alla nostra sinistra, su quota 208. Dopo un vivo fuoco di fucileria, sono entrati in azione i nostri piccoli calibri. Sono uscito dal ricovero per vedere di che si trattava. Un nostro proiettore illuminava la selletta fra la quota 208 e la nostra. Tutto il costone era punteggiato dallo scoppio ininterrotto dei nostri shrapnels e delle nostre granate. Il tambureggiare violento era di quando in quando soverchiato dallo scoppio dei grossi proiettili. Tutto il costone era avvolto in una nube di fumo rossigna, squarciata spesso dai raggi. Tutti i bersaglieri, armati, sono usciti dai ricoveri. Il fuoco dei nostri cannoni ci elettrizza. Una quarantina di minuti è durato il tambureggiamento. Ora è finito. Passando dai ricoveri, ho raccolto le implosioni dei miei commilitoni.