Mezzogiorno: piove sempre e più forte. Iersera, dopo sei lunghi giorni di privazione, mi è giunto il Popolo, primo numero dopo lo sciopero tipografico milanese.
8 Dicembre.
Ieri sera, sull'imbrunire, ci siamo spostati alla trincea estrema della nostra linea. Pioveva forte. Ci siamo allogati in una tana fangosa. Rada fucileria. Sciupio di razzi. Gli austriaci sono a 30-50 metri da noi. Ieri sera lavoravano intensamente. Si udiva lo spicconare e il battere delle mazze. Stamani non piove, ma l'orizzonte è grigio. Le artiglierie lavorano, ma senza impegnarsi troppo. Nei ricoveri abbandonati dagli austriaci sul rovescio del Debeli, abbiamo trovato delle mazze ferrate. La nostra trincea ha qui un tracciato così bizzarro, che potremmo essere colpiti di fronte e di fianco. Ma fra noi e i tedeschi è convenuto una specie di tacito accordo, per cui non ci spariamo. Noi li vediamo e lasciamo inoperosi i nostri fucili; essi ci vedono (e noi ci facciamo vedere anche troppo!) ed «essi» non tirano. Siamo qui, in queste buche di fango, inchiodati, immobili nell'attesa del nostro destino.
La pioggia di questi giorni ha abbassato un po' il livello del «morale» bersaglieresco. Siamo tutti bagnati, fradici, non abbiamo che una coperta e il cappotto: siamo privi degli zaini e non li riavremo se non tornando a riposo. Non un lembo di azzurro: cielo uniforme, bigio, come il saio di un frate, e sgocciolante.
Gergo di guerra: spazzola = fame;
fifhaus = rifugio sotterraneo blindato.
La nostra trincea cinge il campo dell'ultima battaglia del novembre. Nelle buche dei 305 abbiamo raccolto e sepolto i cadaveri degli austriaci. Attorno, un po' di calce bianca.
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