Benito Mussolini
Diario di guerra (1915-1917)


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     — Non credo più a nulla, — ha detto uno di loro — sino a quando non vedrò le bandiere bianche sulle trincee. —
     Nottata interminabile, di pioggia a raffiche. Fuoco di bombe agli avamposti.
     Stamani, qualche colpo di cannone.
     L'artiglieria austriaca tira a caso. Questa è la mia impressione. Un colpo qua, un colpo là. Una granata sulle trincee, uno shrapnel sulla strada di Doberdò, che molto spesso finisce nel lago. Ciò non turba il solito viavai. Solito e inevitabile. Ecco la strofa di una canzone in voga fra noi:

     O Gorizia, tu sei la più bella
     E il tuo nome risuona Mutano;
     Sei passata al dominio italiano,
     Sarai protetta dal nostro valor!


     Oggi piove, come ieri, come sempre. Pare una maledizione. Pomeriggio di pioggia incessante. Nel mio ricovero è tutto uno sgocciolamento. Non c'è dubbio: il tempo è il «loro» alleato e forse il migliore. Ci sono in queste trincee dei topi fenomenali. Sembrano gatti e danno anch'essi l'assalto notturno... alle nostre pagnotte. Qua e là, per ingannar la noia, si canticchia:

     Là ci vedrà la luna.
     La luna la spia non fa;
     Là ci vedran le stelle,
     Le stelle la spia non fan!


     Tutte le sere, verso il crepuscolo, l'attività delle opposte artiglierie si rianima e nell'aria è tutto un sibilo di «telegrammi», come diciamo noi nel nostro gergo. Stasera l'orizzonte è di fiamma, verso la vecchia Italia. Sento lungo la strada il rombo dell'automobile che ci porta l'acqua e lo sciacquio sordo dei muli che vengono in lunga interminabile fila. Verso le linee nemiche è un continuo scoppiare di mine. Sono i tedeschi che scavano le loro «tane di volpe», nelle quali, al momento buono, rimarranno sepolti. Ci sono delle trincee austriache che è impossibile ripulire, tanto sono piene di morti. Di qui il loro pazzo terrore, delle nostre bombarde. Si dice che una volta ci abbiano gridato: