— O Dio! O Dio! Portaferiti... —
Poi, silenzio. Gli austriaci hanno continuato ancora per molte ore. Le stelle sono scomparse. Il cielo è tornato buio. Nelle tenebre del camminamento, qualcuno, brancolando, mi afferra. Io gli dico:
— Di là, di là!
— Chi sei? —
Riconosco dalla voce il capitano.
— Buona sera, capitano.
— Buona sera, Mussolini. —
Adesso i nostri piccoli calibri tempestano. Stamani, pioggia. Tutta la notte, sino all'alba di stamani, i nostri cannoni hanno bombardato le posizioni nemiche di prima e di seconda linea. Ieri sera, all'accampamento, c'è stato un solo ferito del 7° bersaglieri, ma grave. Ha una gamba spezzata. Nei ricoveri si parla ancora della pace tedesca.
Il discorso cade più volentieri sul riposo, che sembra imminente. La trincea, sul Carso, impone duri sacrifici e più duri disagi alle truppe. Pomeriggio di pioggia, sottile, sottile. Più che nelle ossa, sembra filtrare nelle anime.
18 Dicembre.
Tutta la notte, cioè a dire quattordici ore continue, ha piovuto. Stamani, finalmente, il sipario uniforme delle nubi sembra levarsi. Il chiarore promettente viene da Trieste, insieme a un venticello freddo. Prime notizie: la bomba dell'altra sera ha fatto due morti e cinque feriti. Il colonnello passa per la nostra trincea e ci domanda:
— Come va?
— Bene — rispondiamo.
— Avete freddo?
— Non tanto. Ci vorrebbe di quando in quando un fiaschetto di vino... —
Il colonnello si allontana.
Da qualche ora gli austriaci battono le nostre posizioni col solito loro tiro irregolare. Due granate su quota 208, una mezza dozzina di shrapnels su di noi, due grosse marmitte su quota 144. Qualche 280 sulla seconda linea. Mezzogiorno. L'orizzonte si chiarisce, ma il sole continua a fare il latitante.
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