Uno zappatore ci dice che una granata è caduta tra due ricoveri del 7° bersaglieri. Ci sono quattro morti e sette feriti.
Qualche discorso sulla pace tedesca. La supposta condizione che l'Italia dovrebbe restituire le terre conquistate all'Austria, suscita l'indignazione generale. Scommetto che se si facesse un referendum, non si troverebbero dieci soldati propensi ad accettare questa condizione.
— Dopo tanto sangue e tanti sacrifici! —
Ora che il reggimento è tutto riunito, trovo dei commilitoni che non rivedevo più dal settembre dell'anno scorso, quando, giunti sullo Jaworcek, fummo ripartiti nei diversi battaglioni. Un incontro gradito è quello del sergente zappatore Tudori Modesto di Tirano (Sondrio). È un operaio che ha compreso la necessità della guerra nazionale.
— La «pace tedesca», no. Tutti desideriamo la pace — mi dice — ma giusta e duratura! —
Mentre scrivo, gli austriaci hanno incominciato a bombardarci.
La trincea «logora», perché è una prigione di fango. Il nostro carceriere è il cannone nemico che ci costringe al silenzio e alla immobilità. Se le trincee sono coperte, la prigionia è assoluta. Si vede il sole a scacchi, cioè attraverso una feritoia. L'esserci adattati a questo genere di guerra è una prova meravigliosa delle qualità individuali e complesse della stirpe italiana.
Un tenente mi dice che il Duca d'Aosta ha tributato un encomio solenne alla nostra Brigata Bersaglieri, per il contegno tenuto nelle due notti dei contrattacchi nemici e per i lavori di rafforzamento della posizione. Un bersagliere della mia compagnia, tal Silvio Filippi di Colle Val d'Elsa, che ora è in licenza invernale, mi manda questa cartolina:
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