«Trovandomi in licenza non manco di mandarle i più sinceri saluti, rammentandolo unito assieme a tutti i miei amici, ove son rimasti molto sorpresi di sentire che pure lei debba essere in trincea al pari di qualunque umile soldato. Non ho mancato di fare i saluti a Meoni, il quale li ha con molto affetto accolti. Cesso, salutandolo, sperando di ritrovarlo in ottima salute. Di nuovo saluti affettuosi».
Nelle ultime ore del pomeriggio la nostra artiglieria intensifica i suoi tiri. Dalle quattro alle sei, anche tra le artiglierie sembra talora stabilita una mutua tregua, perché né i nostri, né i loro, sparano un colpo solo.
Sul costone esterno di quota 208 assistiamo allo sfilare di mezzo plotone di austriaci. Le loro sagome si profilano nettamente, nell'ultima chiarità del giorno. Dalle nostre linee non parte nemmeno un colpo di fucile, malgrado la vicinanza e la visibilità del bersaglio.
È forse una corvée. Non è nelle nostre abitudini di innata cavalleria tirare sul nemico, quando è inerme.
19 Dicembre.
Stanotte un gatto raspava presso i nostri reticolati. Sarà un «disperso» di Jamiano distrutta. Ieri sera, approfittando della serata — la prima non piovosa — ho girato un po' sul campo di battaglia. Non vi è un metro quadrato, letteralmente, che non sia stato lacerato, sconvolto da quattro o cinque granate. Ci sono ancora dei morti abbandonati. Nostri e loro.
All'alba di stamani due bersaglieri zappatori-minatori ci hanno recato la notizia della vittoria francese. Gioia vivissima in tutti. Si discorre meno d'ieri di pace. Intanto, per cambiare, piove. Tempo assassino. I bersaglieri tutti laceri, barbuti, infangati, scrivono le «franchigie», dormono, si spidocchiano, giocano a carte.
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