Zaini, tascapane, coperte e una quantità inverosimile di munizioni. Poi baionette, foderi di baionette, bombe, carte e stracci. E dovunque buche e dappertutto disseminati a centinaia a centinaia i bossoli degli shrapnels. Le pioggie hanno fatto crescere il lago. Alcuni dei nostri ricoveri sono quasi sommersi dall'acqua. L'artiglieria austriaca non ha sparato un sol colpo. Anche la nostra ha sparato pochissimo.
Natale
25 Dicembre.
Come ieri, come sempre, da un mese a questa parte, piove. Oggi è Natale. Proprio Natale. 25 Dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustrate coi soliti fanciulli e gli inevitabili alberelli. Perché io riprovi un'eco della poesia di questo ritorno, debbo rievocare la mia fanciullezza lontana. Oggi il cuore s'è inaridito come queste doline rocciose. La civiltà moderna ci ha «meccanicizzati». La guerra ha portato sino alla esasperazione il processo di «meccanicizzazione» della società europea. Venticinque anni fa io ero un bambino puntiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano ancora nella testa i segni delle mie sassate. Nomade d'istinto, io me ne andavo dal mattino alla sera, lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino lungo la strada che conduce a San Cassiano erano irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva freddo. Le prime messe erano per le vecchie mattiniere. Quando le vedevamo spuntare al di là della Piana, era il nostro turno. Ricordo: io seguivo mia madre. Nella chiesa c'erano tante luci e in mezzo all'altare — in una piccola culla fiorita — il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco ed appagava la mia fantasia.
|