Alle quattro del pomeriggio, a Sagrado, mi imbattei in Manlio Morgagni — il direttore amministrativo del nostro giornale — e nel collega Garinei del Secolo. Tornavano da una visita a Mussolini. Appresi da essi che l'eroico soldato aveva molta febbre e che l'Ospedaletto 46 non era più ad Aquileja, ma a Ronchi.
Da Sagrado a Ronchi — sei o sette chilometri — non trovai alcun mezzo di trasporto. Giunsi lo stesso, però. E, giunsi presto!
All'ingresso dell'Ospedaletto — situato in una bella palazzina rimessa a nuovo dopo le «ingiurie» della guerra — mi si precluse il passaggio.
Il sottufficiale d'ispezione aveva una consegna precisa e non era disposto ad infrangerla a nessun costo.
— I medici hanno proibito ogni visita. Ce ne sono state troppe! Il ferito è molto sofferente. Ha la febbre a 40, stasera. Egli stesso desidera di essere lasciato in pace. Mi dispiace tanto, ma è impossibile.
Declinai la mia qualità di redattore del Popolo, dissi la mia angoscia per la sorte di Lui, parlai del mio affetto fraterno per il mio Direttore e Maestro.
Nulla!
Domandai di parlare col Direttore dell'Ospedaletto, con qualche medico... Fui accompagnato dal tenente dott. Scipioni. Ripetei l'esser mio, lo scopo del mio viaggio; domandai se era solo concepibile che fossi venuto da tanto lontano per... tornarmene via senza aver veduto Mussolini!
L'ufficiale comprese.
— Aspetti! Ma le raccomando: visita breve. —
Promisi e... non mantenni.
Due minuti dopo, ero vicino a Lui. Il nostro incontro fu sinceramente commosso. Io lo baciai in fronte. Egli sorrise lietamente. I suoi occhi luminosi facevano il posto alla parola. Dicevano chiaro che la mia apparizione inattesa era molto gradita. Per un poco tacemmo. Lui soffriva. Io non sapevo come cominciare...
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