(segue) C'è un'insidia...
(19 febbraio 1915)
[Inizio scritto]

      Ma cinque giorni prima all'11 febbraio Il Popolo d'Italia faceva lo stesso rilievo alla Stampa. Autocitiamoci ancora una volta: «Mi pare che sarebbe tempo di preparare "moralmente" il paese all'unico inevitabile cimento: la guerra contro l'Austria e la Germania. Questi sei mesi di neutralità hanno un po' (o molto?) insensibilizzato e demoralizzato il popolo. In questa tragica vigilia discussioni e polemiche come quella inscenata dalla Stampa ottengono l'effetto di "deprimere" il paese. Sono — lo si voglia o no — un segnalato servigio reso alla causa della neutralità assoluta. Blandire i bassi istinti delle moltitudini coi miraggi del massimo vantaggio col minimo sforzo è in questo momento antinazionale. Bisogna invece prepararsi e preparare il paese al massimo sforzo. È questo l'unico mezzo per evitare delusioni sorprese disastri.»

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      Ma rilevate queste coincidenze sentiamo immediatamente il bisogno di avvertire e prospettare il dissenso profondo che ci divide dal foglio sonniniano. Esso scrive a conclusione degli articoli precedenti in data 17 gennaio: «Noi — diciamolo ancora una volta! — ci limitiamo ad indicare il fine a cui deve tendere l'Italia e cioè la propria messa in valore per la realizzazione delle aspirazioni nazionali. Il mezzo non sta a noi indicarlo. Un mezzo o l'altro non importa: purché qualunque esso debba essere il popolo italiano sia preparato concordemente a volerlo.»
      Vale la pena di meditare queste parole. Per quanto concerne il «fine» siamo d'accordo. Una dizione più chiara sarebbe stata certamente più efficace. Quella «messa in valore» dell'Italia per la realizzazione delle aspirazioni nazionali che cosa significa in concreto? La preparazione militare e diplomatica? O una mobilitazione di minaccia e di ricatto? O la guerra? Non sappiamo. Ad ogni modo fissiamo l'identità del «fine»: realizzazione delle aspirazioni nazionali. Si capisce e sottintende che tali aspirazioni sono quelle antiaustriache. Nel resto del periodo del Giornale d'Italia v'è celata un'insidia di pretto sapore giolittiano. «Un mezzo o l'altro non importa» per realizzare le aspirazioni nazionali dichiara il Giornale d'Italia e qui è il veleno qui è l'equivoco. Il giornale romano sceso in campo per disperdere le illusioni troppo ottimistiche dei neutralisti assoluti finisce per avvalorarle e accreditarle. Non è un risultato brillante. «Un mezzo o l'altro»: ciò significa che il Giornale d'Italia crede ancora nella possibilità del «mezzo diplomatico»; e poiché non precisa il contenuto e la latitudine delle aspirazioni nazionali potrebbe per avventura darsi il caso che il Giornale d'Italia si trovasse non lungi dal «parecchio» giolittiano.

(segue...)