La via d'uscita
(30 marzo 1915)
Ebbene? Dal 21 febbraio —
giorno della grande e... abortita manifestazione nazionale
antibellica inscenata dal partito socialista — ad oggi la causa
della neutralità ha perduto molto terreno e molti fautori
nello stesso campo proletario. Prendeteli a uno a uno gli operai
della città e sono tutti
per una ragione o per l'altra
interventisti. Rinaldo Rigola
che ha in mano il polso di gran parte
della classe lavoratrice italiana
ha potuto scrivere — dicendo
il vero — che «non è giusto affermare che tutto il
proletariato italiano sia contrario alla guerra». A Genova e a
Parma
che sono due centri di viva attività sindacale —
sia pure con direttive divergenti — la causa dell'intervento
trova vaste ed entusiastiche adesioni. Più notevole e
significativo il fenomeno di Parma
per il fatto che la camera del
lavoro recluta la maggioranza dei suoi inscritti fra le masse
agricole che generalmente sono refrattarie ad ogni stimolo di guerra.
La pratica sindacalista
che io chiamerei volentieri una forma di
«pragmatismo operaio»
conferisce maggiore elasticità
al cervello di quanto non faccia la pratica cooperativistica o quella
elettorale.
Il proletariato italiano dunque
non solo non si opporrà alla mobilitazione
ma con tutta
probabilità accetterà la guerra con coraggio e con
spirito fermo e deciso. Il partito socialista stesso si limiterà
ad una platonica protesta. Né potrebbe fare di più. Gli
organi direttivi sono privi di combattività. Il gruppo
parlamentare socialista non conta un solo neutralista convinto. La
confederazione generale del lavoro si porrebbe domani di fronte a
qualsiasi movimento che potesse turbare la compagine nazionale nel
momento del pericolo. La direzione del partito attraversa —
dopo le dimissioni di Alceste Della Seta — un periodo di crisi
assai grave. È esautorata. L'esodo di tanti compagni — e
non degli ultimi venuti — deve far riflettere seriamente quei
due o tre deficienti che si ritengono i depositari del verbo unico e
solo del socialismo internazionale.
(segue...)
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