(segue) La via d'uscita
(30 marzo 1915)
[Inizio scritto]
L'Avanti! ha messo la sordina
alla campagna antiguerresca. Eccettuata qualche melanconica
caricatura e qualche ordine del giorno
ancora più
melanconico
votato da certe sezioni che prendono sul serio... il
dogma neutralista
l'organo centrale del partito non continua e —
soprattutto — non intensifica la lotta contro l'intervento
dell'Italia. Gli squilli antitriplicisti — sebbene tardivi —
del Ciccotti hanno convinto gli stessi dirigenti dell'Avanti! che non
è più decente sostenere una neutralità che ridà
nuova vita alla triplice alleanza e vincola l'Italia agli imperi
centrali.
La possibilità di
un'altra fase di triplicismo ha ricondotto sul terreno delle
valutazioni realistiche anche quelli che vorrebbero restare
eternamente fedeli a una formula svuotata di qualsiasi
significazione. Io non credo che il partito socialista — come
partito e come collettività — sia capace di giungere
alle conseguenze estreme del suo rinnovato antitriplicismo: le masse
sono sonnolente e torpide
per la loro stessa mole; e poi ci sono
degli interessi materiali e politici che legano i capi a un
determinato atteggiamento. Comunque la paralisi evidente
se non
progressiva
del partito socialista toglie qualsiasi alibi alle
eventuali inazioni della monarchia. Sino a ieri l'on. Salandra poteva
giovarsi — ai fini della neutralità conservatrice —
della condotta del partito socialista; oggi non più.
Gli è che il partito
socialista intuisce che la guerra è ormai l'unica via d'uscita
e col minimo rischio. Non lo dirà — apertis verbis —
almeno fino al giorno in cui gli eventi saranno vicini a maturare
ma
lo farà — in cento modi — comprendere. La guerra è
l'unica via d'uscita da una situazione interna e internazionale che
diventa ogni giorno più critica. All'interno aumenta il
disagio economico coll'allungarsi della neutralità. Questo
disagio ha già avuto le sue dimostrazioni clamorose e
sanguinose nelle piazze delle grandi e delle piccole città
d'Italia. Se il partito socialista amasse il rischio e avesse in sé
la capacità di rivolta che ha perduto verso il 1900
la
situazione odierna dell'Italia sarebbe oltremodo favorevole a un moto
rivoluzionario di qualche ampiezza. Ma il partito socialista —
per molte ragioni facilmente comprensibili — ha fatto e fa da
pompiere. Siamo così obiettivi da compiacercene in questo
momento. Però
se il regime di neutralità dovesse —
malauguratamente — durare ancora qualche tempo
la crisi
economica diventerebbe spasmodica
insopportabile e i socialisti
che
pretendono di costituire la rappresentanza politica delle masse
operaie
si troverebbero dinanzi a un dilemma tragico: o capeggiare
le rivolte degli affamati
diffuse in tutta la nazione
indirizzandole verso ad un obiettivo che non potrebbe essere che
politico
o frenare questi movimenti. Posizione difficile nel primo
caso
compito ingrato nel secondo. La mobilitazione e la guerra
liberano il partito socialista da queste preoccupazioni e da queste
responsabilità. Passando all'esterno è chiaro che la
guerra offre all'Italia l'unica e rapida soluzione di problemi
gravissimi che l'indugio tende a complicare. Il fatto — ormai
indiscutibile — che l'intervento italiano e balcanico sarebbe
decisivo
nel senso che abbrevierebbe il conflitto
è tale da
conciliargli molta indulgenza da parte dei socialisti. Si deve
accettare coraggiosamente un male
quando esso ponga termine a un
male maggiore.
(segue...)
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