E l'ora...
(6 maggio 1915)
Ieri Genova ha detto la sua
grande parola di fede. L'ha detta in faccia al mare
sullo scoglio
fatidico
dinanzi a una folla innumerabile
nella quale
accanto ai
vecchi superstiti che osarono
v'era tutta la gioventù nuova
che non sarà — nei prossimi inevitabili cimenti —
inferiore — per ordine e spirito di sacrificio — alla
generazione dei primieri.
Chi ha potuto assistere
all'avvenimento ne serberà il ricordo perenne. La rampa dello
scoglio
tutta la strada da Genova a Quarto
tutto il mare erano
occupati da una moltitudine immane. Migliaia di bandiere nascondevano
il monumento che solo a cerimonia finita apparve — alto —nella
sua bronzea nudità. C'era tutta l'Italia a celebrare il rito
augurale. Genova — bellissima — aveva ieri un solo cuore:
grande come il suo Tirreno
saldo come il marmo dei suoi palazzi. Si
«sentiva»
dovunque
che quella di Quarto non era una
commemorazione
ma una radunata...
Genova ha parlato e con Genova
l'Italia. Il formidabile grido dei duecentomila intervenuti ad
onorare il Grande giunga a Roma e precipiti le decisioni. Attendere
ancora è pericoloso e assurdo. Ormai non si può frenare
il corso della storia. Le volontà e le speranze d'Italia sono
tese verso un solo obiettivo: la guerra contro l'Austria e la
Germania. «Guerra!» — ha urlato con voce unanime il
popolo ieri. «Guerra!» — dichiari il governo di
Roma
e gli italiani «tutti» balzeranno in piedi decisi a
superare ogni ardua prova. Ma guai
guai se la lunga attesa
preparasse una delusione! Il popolo che brulicava ieri per le vie e
le piazze della Superba e si mantenne tranquillo
conscio dell'ora
grave
si rovescierà domani — irresistibile e tremendo —
contro i responsabili della vergogna d'Italia
e li travolgerà
inesorabilmente.
(segue...)
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