(segue) Il tacco sul verme
(2 settembre 1915)
[Inizio scritto]

      Ma Zibordi — sfruttatore e mistificatore della povera gente prete del socialismo vinicolo e grappista — posto a scegliere fra la mia riabilitazione o la mia morte preferisce quest'ultima. Egli sa — pur nella sua infamia — che le «mie vergogne» non impediscono a decine e centinaia di socialisti e non degli ultimi venuti — in alto e in basso in Italia e fuori — di tributarmi la loro amicizia e la loro solidarietà. Quando uomini come Vaillant che al socialismo internazionale hanno dato qualche cosa di più di quanto non abbia dato Zibordi approvano la mia campagna io posso — dall'alto della mia tranquilla coscienza — passare col tacco sui lombrici — senza vertebre e senz'anima — del socialismo infeudato al Kaiser. Non ho bisogno né di vivere né di morire per «riabilitarmi» perché non ho bisogno di riabilitarmi. Non così nel socialismo italiano dove dal segretario all'incaricato della «continuità» quelli che hanno avuto e hanno bisogno di vivere per «riabilitarsi o per cancellare qualche pagina nera nella storia della loro vita» sono legione.
      Zibordi-verme è il tipico — autorizzato — rappresentante del socialismo ventricolare destinato alla degenerazione e alla putredine. Si comprende che non pochi giornali abbiano rilevato con stupore la prosa zibordiana. Stentavano a capire che l'ex-professore di italiano un discepolo — per quanto bastardo — di Giosuè Carducci — avesse tendenze gusti linguaggio da sicario.
      Già.
      Il «socialismo reggiano» passava fra le turbe coll'aureola dell'evangelismo. Era buono era saggio era apostolico il socialismo reggiano. Fioriva l'Arcadia attorno a lui. La pianura padana aveva nel centro una Mecca e qui accorrevano le turbe degli aspettanti. Nella Mecca c'era il profeta non ancora imbalsamato ma già canonizzato.

(segue...)