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(27 dicembre 1915)
[Inizio scritto]
Da qualche tempo
sui praticelli
fioriti dell'arcadia panciafichista
brucano insieme le pecore
mansuete dell'ovile cattolico e i caproni della congrega
social-ufficiale. Benedetto XV ci propina le sue encicliche
i suoi
discorsi
i suoi lamenti; Costantino Lazzari diffonde tra i suoi
fedeli il verbo emanato dalla conventicola di Zimmerwald. Circolano —
anche fra i soldati combattenti — delle ridicole preghiere
pro-pace. Non è la pace giusta che preti e socialisti
vagheggiano e propugnano
poiché l'avvento di uria pace giusta
e duratura è possibile soltanto con la vittoria della
Quadruplice Alleanza; ma ciò ch'essi diffondono è il
desiderio di una pace qualunque
di una pace di compromesso e di
transazione
anche oggi
anche se la pace avrà il sigillo
degli Hohenzollern.
È tempo di reagire contro
questa pericolosa e insidiosa e subdola opera di propaganda. Chi
parla di pace
quando la Patria è impegnata in una lotta per
la vita o per la morte
giova consciamente o inconsciamente al
nemico. Un solo pensiero deve dominare i cervelli
una sola volontà
deve tendere il fascio dei nostri nervi
una sola parola deve
riassumere tutte le nostre speranze: il pensiero
la volontà
la speranza della vittoria. La pace verrà poi
come
conseguenza naturale e logica della vittoria e sarà tanto più
lunga e feconda
quanto più decisiva sarà la sconfitta
dei nostri nemici.
Oggi solo i propositi forti e
virili possono aver diritto alla libera espressione
non ciò
che debilita e divide.
«Gemir
c'est trahir!»
dicevano i Convenzionali di Francia in un'altra ora tragica della
storia europea.
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