(segue) Approcci e manovre
(9 ottobre 1917)
[Inizio scritto]
L'interventismo nostro non è
così profiteur. Rimane quello che fu. Ci siamo dunque anche
noi a contendere
a disputare il passo ai neutralisti che non muovono
tanto all'assalto del ministero nel quale hanno degli amici
quanto
al sacco della nazione che nella sua parte migliore li detesta. Noi
siamo una forza. Quantitativa
no. Qualitativa. Il nostro programma è
tale che non può conciliarci le simpatie delle masse
che
appunto essendo «masse» tendono alla «staticità»
degli atteggiamenti e delle idee. Ma la forza non è sempre nel
numero. «Massa» non siamo stati nemmeno nel 1915. Anche
allora eravamo soltanto una minoranza fortissima. Come oggi
malgrado
le decimazioni che la guerra ha compiuto nelle nostre file. La nostra
forza scaturisce
prima di tutto
dalla nostra giovinezza. Siamo
ancor giovani. Di anni. Di spiriti. Quindi spregiudicati. Elastici.
Aggressivi. Non apparteniamo alla turba degli uomini imponenti
che
si somigliano sino nelle minimalie della vita
che si misurano
che
credono di essere degli «investiti» di qualche suprema
missione in questo mondo paradossale e che sono
in fondo
degli
anchilosati dello spirito. Noi siamo di un'altra generazione.
Portiamo nelle cose una nota di gaiezza. Gaja Scientia. Il dovere
cessa
per noi
di essere la legnosa nozione del pedagogo
per
diventare un piacere
un «dilettamento» dei sensi e
dell'anima. Pippo
l'indimenticabile
parlando un giorno in una breve
accolta di amici fidati
esprimeva questo nostro complesso stato
d'animo
dicendo che gli italiani sarebbero andati a morire con un
sorriso e una canzone sulle labbra.
Ci troviamo quindi in una
posizione di privilegio
quando dobbiamo battagliare coi vecchi. In
secondo luogo
non abbiamo vincoli. Non c'è nessuno che ci
possa frenare o limitare o inibire. Gli altri devono tener conto di
troppe cose: della setta
del partito
delle clientele
degli
elettori. Soprattutto di questi. Tante siepi. Tante catene. Tante
umiliazioni. Noi
no. I famosi ordini del giorno
coi quali gli
organismi collettivi — sezioni del partito o dell'Unione
cattolica popolare — si impongono ai deputati o agli uomini
rappresentativi
non esistono per noi. Quando si parla in nome di un
partito
bisogna prendere tutte le precauzioni. Non bisogna
compromettere il partito. Noi non compromettiamo nessuno. Qualche
volta nemmeno noi stessi. Qui è la terza sorgente della nostra
forza: la nostra audacia. Siccome noi — personalmente e
politicamente — non abbiamo posizioni da perdere o da
conquistare
possiamo permetterci il lusso di batterci per amore
dell'arte. Con un disinteresse forse ignoto ai poemi del
romanticismo. Infine c'è
dietro di noi
la parte nuova
dell'Italia. Il nostro pubblico è un pubblico di élite.
È il pubblico delle città. Il pubblico che cerca
che
vuole
che cammina. È straordinario che un giornale personale
come questo raccolga così vasta messe di aiuti. Segno dunque
che noi esprimiamo correnti che esistono
tendenze che affinano
volontà che si determinano. Segno dunque
che questo giornale
non è un sacco
come quasi tutti gli altri
o un «bollettino»
come quelli dei partiti
ma un vessillo sotto al quale si raccolgono
molti dei migliori italiani. Per tutto questo complesso di ragioni
noi ci sentiamo «in forma». La ripresa neutralista non ci
preoccupa troppo. Si tratta di fuggiaschi
di esiliati
di
rammolliti. Vecchiume medagliettato. All'ultimo minuto ripeterà
il gesto della prima ora: scivolerà via
senza combattere...
(segue...)
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