(segue) Corridoni
(29 ottobre 1917)
[Inizio scritto]
Il popolo
che era stato da
cinquant'anni un assente
rientra
s'inserisce nel corpo vivo della
storia d'Italia. Gli uomini che danno la voce a questo movimento
sono dei fuorusciti
degli insofferenti
degli inquieti
ma
soprattutto degli idealisti e dei disinteressati.
L'interventismo porta alle origini
questo sigillo di nobiltà.
Che cosa chiedevano questi
interventisti? Forse la guerra per profittarne? No: domandavano di
combattere; si preparavano a morire. Affrontavano comunque l'ignoto.
In Filippo Corridoni
l'interventismo nacque dall'impulso di difesa della latinità
contro la tribù barbara dai piedi piatti
come diceva Blanqui
che ha tentato ancora una volta di scendere dalle sue pianure
nebbiose verso le spiagge solatie del nostro Mediterraneo.
Ma l'interventismo di Filippo
Corridoni non si spiega soltanto con questi ed altri motivi; e questi
altri motivi ne suppongono un altro: il temperamento
l'animo di
Corridoni.
Egli era un nomade nella vita
un
pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi
sogni
e camminava così
nella sua tempestosa giovinezza
combattendo e prodigandosi
senza chiedere nulla.
Qualche volta un'ombra di
malinconia gli oscurava la fronte. Qualche volta la stanchezza delle
piccole cose e dei piccoli uomini gli tremava nella voce. La guerra
fu sua
perché era una guerra di liberazione e di difesa; ma
anche perché la guerra chiede ed impone la tensione
lo
sforzo
il sacrificio.
In questa guerra che deve decidere
le sorti dell'umanità per almeno un secolo
in questa guerra
eminentemente rivoluzionaria
non nel senso politicante della parola
ma per il fatto che tutto è in giuoco
che tutto è in
pericolo e molto andrà sommerso
e molto sarà
rinnovato
il posto di Filippo Corridoni non poteva essere fra i
negatori solitari e infecondi in nome delle ideologie di ieri
o fra
i pusillanimi che sono contrari alla guerra
perché la guerra
interrompe o turba le loro abitudini
o documenta la loro infinita
vigliaccheria.
(segue...)
|