(segue) Disciplina di Guerra
(9 novembre 1917)
[Inizio scritto]
Mettetevi nei panni di un soldato
che ha al suo attivo due anni di trincea. Rendetevi prima di tutto
conto di quel che sia la trincea. La vera trincea. Il fosso terribile
dove ci si infanga
ci si impidocchia
ci si insanguina. Un giorno
dopo l'altro
così per mesi e per anni.
Al soldato che tornava in licenza
quale spettacolo hanno offerto le nostre città dove lo
«svolgimento della vita» continuava ad essere normale? Lo
spettacolo del lusso
dei divertimenti
della leggerezza
dell'imboscamento elevato a sistema
tanto che nell'animo del
combattente veniva radicandosi la convinzione che la guerra la
facevano soltanto gli imbecilli
mentre gli altri — molti
troppi! — non l'avvertivano o — peggio — la
sfruttavano...
Una propaganda che in Francia è
stata definita «infame» lavorava questo stato d'animo e
lo spingeva ad eccessi criminosi. C'è voluta l'invasione del
territorio
per rimettere sul tappeto la questione di un più
austero regime di vita.
Basta con la normalità che
ci conduce alla disfatta. È tempo che la Nazione —
anche
e soprattutto
quella che non combatte — accetti o
subisca la disciplina morale della guerra. Non è lecito
divertirsi
mentre c'è chi soffre. Non è degno ridere
mentre c'è chi piange. È delitto di alto tradimento
l'ozio e l'infingardaggine
in un momento nel quale tutte le energie
nazionali devono essere utilizzate e movimentate. Le orchestrine
devono tacere. L'invasione del territorio è un «lutto
nazionale». La musica leggera dei caffè-concerto e dei
grandi ristoranti
mentre milioni di italiani vanno raminghi e
squallidi da città a città
è una irrisione.
Anche i teatri devono rimanere chiusi. Non è tempo di
spiritosaggini
di freddure pochadesche. Non è tempo di
distrazioni. Le riunioni ippiche siano mandate a miglior tempo. Tutto
ciò
insomma
che stona colle necessità del momento;
tutto ciò che conduce a una dispersione di forze morali sia
bandito.
(segue...)
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