(segue) La Vittoria fatale
(24 maggio 1918)
[Inizio scritto]
Col vecchio suo magico sguardo
il dovere
nume d'acciaio
gl'inconsci
anche
soggioga.
Benché ne balbettino il
nome
ecco
essi
la madre difendono
ed è madre di tutti;
e son essi la guerra
e son essi la fronte
son essi la vittoria
dai loro elmetti ferrei
spicca il volo la gloria:
essi
martiri e santi
sono l'eroica Patria
essi
i
fanti!
Ma l'elogio migliore del popolo in
armi è consegnato nei 1000 bollettini del Comando Supremo.
Anche l'altro popolo inerme merita di essere esaltato. Quello delle
città nervose e irrequiete
fenomeno inevitabile dovuto alla
«società» di migliaia di creature al contatto di
migliaia di temperamenti e quello delle campagne. Dalla Valle Padana
al Tavoliere delle Puglie; dalle colline pampinee del Monferrato
ai
pianori solatii della Conca d'Oro
le case dei contadini si sono
vuotate. E colle case
le stalle. Le donne hanno visto partire il
padre e il figlio; il meditativo territoriale più che
quarantenne e l'avventuroso adolescente dell'anno secolare. Sangue
denaro
lavoro.
Inutile chiedere all'umile gente
proletaria un'alta coscienza nazionale che non può avere
semplicemente perché non abbiamo mai fatto nulla per
dargliela. Al popolo che ha lasciato la vanga e impugnato il fucile
chiediamo semplicemente che obbedisca; ed il popolo italiano
il
popolo della campagna e quello delle officine
obbedisce.
(segue...)
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