(segue) La Vittoria fatale
(24 maggio 1918)
[Inizio scritto]
Un episodio triste e qualche
sintomo d'irrequietezza non bastano a guastare la linea del quadro.
Ci avevano detto che non avremmo resistito sei mesi
che all'annuncio
dei morti le famiglie sarebbero insorte
che i nostri mutilati
agli
angoli delle strade
agitando i loro monconi
avrebbero sollevato
l'animo popolare. Si compiono in questi giorni i tre anni. Tre
lunghissimi anni. Le madri dei caduti hanno l'orgoglio sacro del loro
dolore; i mutilati non ci tengono all'appellativo di gloriosi
ma
respingono soprattutto l'aggettivo di «poveri»... Le
nostre privazioni alimentari sono fortissime
eppure la gente
resiste. Le «tradotte» vanno al fronte
i vagoni
infiorati come nel maggio del 1915. Le città e le campagne
sono semplicemente meravigliose di dignità e di tranquillità.
La crisi nazionale che va dall'agosto all'ottobre 1917 e si compendia
in due nomi: Torino-Caporetto
è stata in un certo senso
salutare. Era il riflesso della grande crisi che ha gettato nel
baratro la Russia.
C'è stata un'idea
direttrice nella politica leninista che ha condotto la Russia alla
pace «penosa
forzata
disonorante» di Brest? Sì
c'è stata. I massimalisti in buona fede hanno creduto alla
possibilità della rivoluzione per «contagio». Essi
speravano di giungere ad «infettare» col virus
massimalista
la Germania. Non ci sono riusciti. La Germania è
refrattaria. Gli stessi «minoritari» sono ben lungi dal
proclamarsi bolscevichi. Di più. Questi minoritari che
dovrebbero rappresentare
in ogni modo
il lievito fermentatore
perdono continuamente terreno. Tre elezioni
tre disfatte clamorose.
I maggioritari trionfano. Essi sono oggi quali erano nell'agosto
1914
dei complici del pangermanismo: vogliono vincere. Dopo Brest
Litowski
i socialisti non hanno fiatato; dopo la pace di Bucarest i
socialisti non hanno proferito un sol verbo.
Si è visto a quale
risultato è andata incontro la Russia con la predicazione
leninista; si è visto come i socialisti tedeschi
che
accettavano: «Né annessioni
né indennità;
diritto ai popoli di decidere delle loro sorti»
abbiano
interpretato questa dottrina.
(segue...)
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