(segue) Osare!
(13 giugno 1918)
[Inizio scritto]

      Torniamo alla guerra. Una domanda: «È fatale che questa guerra sia massa inerzia numero quantità e non possa essere niente di diverso?» Lo escludo. Spetta a noi latini e anglo-sassoni introdurre la qualità nella quantità. Se la nostra genialità non è una fola qui dovrebbe mostrarsi. Ora la guerra moderna si presta magnificamente alla valorizzazione alla utilizzazione prodigiosa delle qualità umane individuali.
      Pensate a un aviatore che riuscisse a gettare una bomba sulle centrali elettriche che danno la forza alle officine Krupp.
      Pensate a Rizzo e ai suoi compagni. In pochi hanno vinto una battaglia. Per lanciare un siluro non c'è bisogno di essere in molti: basta un uomo. E un siluro manda a picco una corazzata.
      Gli ordegni di guerra moderni — per la loro potenzialità distruttiva che ha del fantastico — offrono in se stessi un premio all'audacia. Gli audaci sanno che se il colpo riesce il colpo è buono. Il gioco vale la candela e franca la spesa. Tra il rischio di sacrificare un manipolo d'individui e la possibilità — sia anche in proporzioni modeste — di inferire un colpo terribile al nemico è il secondo elemento quello che deve orientare l'azione.
      Valorizzare l'individuo. Non frenare gli audaci. Non lasciare nulla d'intentato. Non rifiutarsi a nessun rischio a nessun pericolo. Non far prevalere i criteri statici della burocrazia sugli impulsi dinamici degli individui. Bisogna fissare a priori questa verità: non c'è nulla d'impossibile!
      Per un signore che sta chiuso in un ufficio di Roma può sembrare a priori impossibile forzare una scorta di torpediniere e silurare due corazzate austriache: per Rizzo è stato possibile. Possibile perché è stato tentato perché esisteva la volontà di tentare. L'azione ha ragione degli schemi consegnati nei libri. L'azione forza i cancelli sui quali sta scritto «vietato». I pusillanimi si fermano gli audaci attaccano e rovesciano l'ostacolo.

(segue...)