(segue) Posizioni e obbiettivi
(28 marzo 1919)
[Inizio scritto]

      La rivoluzione europea è dunque una diretta innegabile conseguenza dell'intervento italiano. Chi ha sabotato questo intervento si è macchiato di un delitto enorme. Ha lavorato per la controrivoluzione. Non importa che oggi il socialismo pussista inalberi la bandiera del leninismo. Esso non fa che continuare a camminare sulla stessa strada controrivoluzionaria poiché i cervelli pensanti del socialismo internazionale da Kautsky a Bernstein sono unanimi nel negare il carattere socialista dell'esperimento russo. In base al suo atteggiamento quadriennale il partito non è non può essere rivoluzionario.
      2. — Gli interventisti venuti o non dalle scuole sovversive devono accettare i pesi i pericoli le incognite della situazione e se problemi fondamentali esistono spetta agli interventisti assumere l'iniziativa della loro soluzione. Nel maggio 1915 si rese necessaria una rivoluzione per fare la guerra. D'allora noi ci siamo per fatalità di cose e non solo per volontà di uomini tenuti sul terreno rivoluzionario. Che la guerra da noi acclamata e imposta sia stata una grande rivoluzione è luminosamente provato dagli avvenimenti. Può darsi che sia necessaria un'altra rivoluzione per «fare» la pace. Cioè per trasformare e rinnovare tutto ciò che dalle istituzioni agli uomini non è più nel nostro tempo. Siamo noi che avendo «incominciato» nel 1915 abbiamo il diritto e il dovere di «concludere» nel 1919.
      3. — La nostra opposizione dichiarata al partito socialista ufficiale e ai suoi eventuali colpi di testa dittatoriali non è sufficiente per quanti sforzi si facciano da parte dei soliti mistificatori a presentarci come nemici delle classi lavoratrici. La collezione del nostro giornale è la testimonianza irrefutabile del nostro atteggiamento di simpatia verso le masse lavoratrici non escluse quelle confederali. Ma noi ci siamo sempre rifiutati e ci rifiutiamo di identificare il proletariato con quella speciale organizzazione politico-ecclesiastica che si chiama il partito socialista. Noi ci siamo sempre rifiutati e ci rifiutiamo di riconoscere il diritto del partito socialista alla tutela delle masse lavoratrici. Di questa opinione è anche l'on. Rigola e non è solo. Dal momento che il proletario stesso attraverso le sue manifestazioni di classe ripugna dalla dittatura è semplicemente grottesco che questa dittatura diventi programma d'azione di una associazione che raccoglie un numero assolutamente insignificante di proletari autentici. Ostilità dunque al partito socialista ufficiale per il suo atteggiamento che ha fatto correre un rischio spaventevole alla nostra nazione e al mondo e per i suoi odierni propositi liberticidi ma nessuna ostilità contro le masse lavoratrici delle quali riconosciamo i postulati e per le quali siamo disposti a lottare. Sarebbe un errore grosso sciocco e pericoloso mettere nello stesso fascio e giudicare alla stessa stregua partito socialista e massa lavoratrice. Tra l'uno e l'altra corrono differenze essenziali. Il primo non può dare che una rivolta distruttiva di pura e semplice rappresaglia; la massa operaia affinata e raffinata nelle sue tipiche organizzazioni può veramente iniziare un'epoca nuova nella storia umana. Insomma il partito è parassitario ed eserciterebbe quindi il potere a totale beneficio materiale e morale dei tesserati il proletario è invece produttore e straccerebbe la tessera e confonderebbe le classi nello stesso diritto e nello stesso dovere. Se un «governo delle cose» secondo la vecchia terminologia è possibile non può essere effettuato che dal proletariato mai dal partito. Questo non farebbe che sostituire la sua cricca politica alla cricca attuale non farebbe che sostituire il suo parassitismo a quello delle classi dirigenti attuali. La dittatura del partito è l'assiette au beurre per i pastori della chiesa e per i fedeli; è la greppia più vasta. La dittatura è «politica» ma la dittatura politica applicata all'economia è un non senso e un disastro. Ora il socialismo è in quanto rappresenta una trasformazione di rapporti economici non già l'ascesa al potere di una nuova casta di politicanti i quali analogamente agli odierni vivrebbero domani alle spalle del proletario. Il socialismo se diviene «diviene» nell'economia: non già attraverso i bei gesti della politica. Se invece di un aumento di benessere si verifica come in Russia un aumento di miseria non c'è socialismo anche se il partito politico si è impadronito del potere.

(segue...)