(segue) Discorso di Trieste
(20 settembre 1920)
[Inizio scritto]

      Ora è un fatto importantissimo che Trieste è venuta all'Italia dopo una vittoria colossale.
      Se noi non fossimo così quotidianamente presi dalle necessità della vita materiale se non avessimo continuamente attraversato il pensiero da altri problemi mediocri e banali noi sapremmo misurare tutto ciò che si svolse sulle rive del Piave nel giugno ed a Vittorio Veneto nell'ottobre. Un impero andò in isfacelo in un'ora un impero che aveva resistito nei secoli un impero dove si era sviluppata necessariamente un'arte sopraffina di governo che consisteva nel suo eterno divide et impera saggiamente secondo la sapienza di Budapest e di Vienna. Questo impero aveva un esercito aveva una politica tradizionale aveva una burocrazia aveva legato tutti i cittadini al suffragio universale. Questo impero che sembrava potente invincibile crollò sotto i colpi delle baionette del popolo italiano.
      Il risorgimento italiano non è che una lotta fra un popolo ed uno Stato fra il popolo italiano da una parte e lo Stato absburgico dall'altra fra la forza viva avvenire e il morto passato. Era fatale che avendo passato il Mincio nel 1859 e l'Adige nel 1866 nel 1915 si dovesse passare l'Isonzo e giungere oltre: era fatale tanto fatale che oggi gli stessi neutralisti lo stesso uomo del «parecchio» Giolitti intervistato da un giornalista americano ha dovuto riconoscere che l'Italia pena il suicidio pena la morte pena maggiore: la vergogna non poteva rimanere neutrale. Era per lui questione di modo e di tempo. Ma essenziale per noi è che l'uomo del «parecchio» abbia detto che l'Italia doveva intervenire più tardi o prima non importa e che era logico e fatale che l'intervento si sviluppasse a fianco dell'Intesa.
      Questa rivendicazione del nostro interventismo è quella che ci dà la massima soddisfazione. E che cosa importa se leggo in un libro nero e melanconico che Trieste Trento e Fiume rappresentano ancora un deficit di fronte alla guerra? Questo modo di ragionare è ridicolo. Prima di tutto non si riducono gli avvenimenti della storia ad una partita computistica di dare ed avere di entrata ed uscita. Non si può fare un bilancio preventivo nei fatti della storia e pretendere che collimi col bilancio consuntivo. Tutto questo è frutto di una melanconia filosofica abbastanza diffusa in Italia dopo la guerra.

(segue...)