(segue) Ciò che rimane e ciò che verrà
(13 novembre 1920)
[Inizio scritto]
Siamo in tema di politica estera
fascista ed è necessario quindi riportarci ai postulati che
furono approvati all'unanimità nell'adunata nazionale del 24
maggio 1920 a Milano. In essi postulati è chiesta
«l'applicazione effettiva del Patto di Londra e l'annessione di
Fiume all'Italia e la tutela degli italiani residenti nelle terre non
comprese nel Patto di Londra». Questo postulato è stato
superato per ciò che riguarda Fiume
è stato applicato
per ciò che riguarda il Nevoso e la tutela degli italiani
oltre Sebenico
non è stato applicato per Sebenico e
retroterra.
Siamo dinanzi a una
dolorosissima rinuncia. Soltanto c'è da ricordare che il
fascismo non è intransigente in materia di politica estera.
Esso pensa — vedi postulato n. 4 — che «l'Italia
debba fare
nell'attuale periodo storico
una politica europea di
equilibrio e di conciliazione fra le diverse Potenze». Niente
di anti-fascista se questa politica di equilibrio e di conciliazione
l'Italia comincia a farla colla sua vicina orientale: la Jugoslavia.
E ancora: il Fascismo (vedi postulato successivo) pensa «che il
Trattato di Versailles debba essere riveduto e modificato in quelle
parti che si appalesano inapplicabili o la cui applicazione può
essere fonte di odi formidabili e di nuove guerre». Con che
in
vista del fine — mantenimento della pace — si viene ad
ammettere implicitamente la revisione non del solo trattato di
Versailles
ma di quanti altri possano presentare lo stesso pericolo.
Gli è alla luce di queste premesse programmatiche fondamentali
del Fascismo che bisogna giudicare gli accordi di Rapallo. Il
Fascismo rivendicava
rivendica e rivendicherà — salvo
il modo e il quando — le città italiane della Dalmazia
non per mere considerazioni strategiche nelle quali
tra parentesi
non si trovano due cosiddetti tecnici che abbiano l'identico punto di
vista
ma per considerazioni di ordine essenzialmente morale. Gli
italiani di Dalmazia sono i più puri
i più santi degli
italiani. Sono gli eletti del popolo italiano. Per essi la razza non
è un fatto etnico
è un sentimento
è una
devota
gelosa
intrepida religione che ha avuto i suoi martiri. Noi
adoriamo gli italiani di Dalmazia
perché sono stati e sono i
più fedeli
al richiamo delle voci eterne e insopprimibili
della nostra stirpe. Per questo noi avremmo voluto che sin l'ultimo
nucleo d'italiani fosse stato accolto nella nostra grande famiglia.
Da due anni abbiamo tenacemente lottato per questo. Per questo noi
saremmo pronti ad insorgere
se sentissimo che l'italianità
dell'altra sponda fosse irreparabilmente sacrificata e perduta.
(segue...)
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