(segue) Secondo discorso di Trieste
(6 febbraio 1921)
[Inizio scritto]
A suo tempo
immediatamente dopo
la firma del trattato
il Comitato Centrale dei Fasci diede il suo
giudizio sul trattato di Rapallo
trovandolo «accettabile per
il confine orientale
inaccettabile e deficente per Fiume
insufficiente e da respingere per Zara e la Dalmazia». A tre
mesi di distanza quel giudizio non appare smentito dagli avvenimenti
successivi. Il trattato di Rapallo è un compromesso infelice
contro il quale sul Popolo furono elevate pagine di critica che è
ora
inutile riesumare. Si tratta di spiegare come l'Italia
vittoriosa sia giunta a Rapallo. E la spiegazione non richiede
eccessivi sforzi mentali. Siamo arrivati a Rapallo
come conseguenza
logica della politica estera — fatta o impostaci — prima
della guerra
durante la guerra e dopo la guerra. Per spiegare
Rapallo
bisogna pensare agli alleati
due dei quali
essendo
mediterranei per posizione geografica (Francia) o per interessi e
colonie (Inghilterra) non possono vedere di buon occhio il sorgere
dell'Italia in potenza mediterranea
onde si spiegano
in loro
lo
zelo e tutte le manovre più o meno oblique con cui sono
riuscite a creare nell'Adriatico Superiore e Inferiore
il
contraltare marittimo — jugoslavo e greco — dell'Italia.
Rapallo si spiega pensando a Wilson e ai suoi cosiddetti «experts»;
alla mancanza assoluta di propaganda italiana all'estero; alla
stanchezza mortale e perfettamente comprensibile della popolazione.
Rapallo si spiega col convegno delle Nazionalità oppresse
tenutosi nell'aprile del 1918 a Roma e quel convegno si riattacca
all'infausta pagina di Caporetto. Tutto si paga nella vita. Il 12
novembre del 1920 abbiamo pagato a Rapallo la rotta del 24 ottobre
1917. Senza Caporetto
niente Patto di Roma. In quel congresso i
jugoslavi ci vendettero del fumo
poiché in realtà essi
nulla
assolutamente nulla
fecero per disintegrare dall'interno la
duplice monarchia
della quale furono fedelissimi servitori sino
all'ultimo
con lealismo tradizionalmente croato. Non per niente
dopo il suo decesso
la monarchia d'Absburgo tentava regalare ai
jugoslavi la sua flotta di guerra. Ma nell'aprile del 1918 si creava
— consenzienti tutte le correnti dell'opinione pubblica
italiana
compresa la nostra e la nazionalista —
l'irreparabile; si elevavano
cioè
al rango di alleati
effettuali e potenziali i nostri peggiori nemici e si capisce
che a
vittoria ottenuta
costoro non hanno accettato il ruolo di vinti
ma
hanno insistito sul loro ruolo di collaboratori e hanno rivendicato
anche nei nostri confronti la relativa quota-parte del bottino
comune. Dopo il Patto di Roma
non si poteva piantare il ginocchio
sul petto alla Jugoslavia: questa la verità. Così è
accaduto che il popolo italiano
stanco ed impoverito
snervato da
due lunghi anni di inutili trattative
demoralizzato dalla politica
di Cagoia e dalla tremenda ondata di disfattismo postbellico alla
quale solo i Fasci hanno potentemente reagito
ha accettato o subito
il trattato di Rapallo
senza manifestazioni di gioia o di rammarico.
Pur di finirla
una buona volta
molta gente avrebbe trangugiato
anche la linea terribile di Montemaggiore. Tutti i partiti
di tutte
le gradazioni di destra o di sinistra
hanno accettato il trattato
come un «meno peggio». Noi lo abbiamo subito
considerandolo soprattutto come una cosa effimera e transitoria (c'è
mai stato nel mondo e specialmente sulle sabbie mobili della
diplomazia qualche cosa di definitivo?) e
nell'intento di preparare
tutte le forze affinché la prossima o lontana
ma fatale
revisione
migliori il trattato e non lo peggiori; porti il nostro
confine alle Dinariche
ma non porti mai più il confine
jugoslavo all'Isonzo. La sorte toccata alla Dalmazia ci angoscia
profondamente. Ma la colpa della rinuncia non è da attribuirsi
tutta ai negoziatori dell'ultima ora: la rinuncia era già
stata perpetrata nel Parlamento
nel giornalismo
nell'Università
stessa
dove un professore ha stampato libri — naturalmente
tradotti a Zagabria — per dimostrare — a modo suo —
che la Dalmazia non è italiana!
(segue...)
|