(segue) Secondo discorso di Trieste
(6 febbraio 1921)
[Inizio scritto]

      Accade per gli avvenimenti della storia come talvolta a teatro: ci sono delle platee ringhiose che avendo pagato il biglietto pretendono che la rappresentazione a qualunque costo vada a termine. Così oggi in Italia incontrate due categorie d'individui: gli uni tipo Malagodi o Papini che rimproverano a d'Annunzio di essere sopravvissuto alla tragedia fiumana e altri che rimproverano a Mussolini di non aver fatto quella piccola cosa leggera facile graziosa che si chiama una «rivoluzione». Io ho sempre disdegnato gli alibi vigliacchi coi quali e pei quali in Italia — deficienze impotenze rancori e miserie — ci si sfoga su teste di turco reali o immaginarie. I Fasci di Combattimento non hanno mai promesso di fare la rivoluzione in Italia in caso di un attacco a Fiume e specialmente dopo la defezione di Millo. Io poi personalmente non ho mai scritto o fatto sapere a d'Annunzio che la rivoluzione in Italia dipendeva dal mio capriccio. Non faccio del bluff e non vendo del fumo. La rivoluzione non è una boite à surprise che scatta a piacere. Io non la porto in tasca e non la portano nemmeno coloro che del suo nome si riempiono la bocca rumorosamente e all'atto pratico non vanno oltre al tafferuglio di piazza dopo la dimostrazioncella inconcludente magari col provvidenziale arresto che salva da guai peggiori. Conosco la specie e gli uomini. Faccio la politica da vent'anni. A guerra iniziata fra Caviglia e Fiume o c'era la possibilità di scatenare grandi cose o altrimenti per un senso di pudore bisognava evitare l'eccessivo vociare e le sparate fumose dileguate subito senza traccia e senza sangue.
      La storia raccolta di fatti lontani insegna poco agli uomini; ma la cronaca storia che si fa sotto gli occhi nostri dovrebbe essere più fortunata. Ora la cronaca ci dice che le rivoluzioni si fanno coll'esercito non contro l'esercito; colle armi non senza armi; con movimenti di reparti inquadrati non con masse amorfe chiamate a comizi di piazza. Riescono quando le circonda un alone di simpatia da parte della maggioranza; se no gelano e falliscono. Ora nella tragedia fiumana esercito e marina non defezionarono. Certo rivoluzionarismo fiumano dell'ultima ora non si definiva: andava da taluni anarchici a taluni nazionalisti. Secondo taluni «emissari» si poteva mettere insieme il diavolo e l'acqua santa; la nazione e l'anti-nazione; Misiano e Delcroix. Ora io dichiaro che respingo tutti i bolscevismi ma qualora dovessi per forza sceglierne uno prenderei quello di Mosca e di Lenin non fosse altro perché ha proporzioni gigantesche barbariche universali. Quale rivoluzione allora? La nazionale o la bolscevica? Una grande incertezza — complicata da tante altre cause minori — confondeva gli animi mentre la nazione più che in un senso di rivolta per ciò che accadeva attorno a Fiume si raccoglieva in un senso di dolore e una sola cosa auspicava: la localizzazione dell'episodio e la sua rapida pacifica conclusione.

(segue...)