(segue) Passato e avvenire
(21 aprile 1922)
[Inizio scritto]
Certo
la Roma che noi onoriamo
non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi
la Roma
dalle gloriose rovine fra le quali nessun uomo civile si aggira senza
provare un fremito di trepida venerazione. Certo la Roma che noi
onoriamo non ha nulla a vedere con certa trionfante mediocrità
modernistica e coi casermoni dai quali sciama l'esercito innumerevole
della travetteria dicasteriale. Consideriamo tutto ciò alla
stregua di certi funghi che crescono ai piedi delle gigantesche
quercie.
La Roma che noi onoriamo
ma
soprattutto la Roma che noi vagheggiamo e prepariamo
è
un'altra: non si tratta di pietre insigni
ma di anime vive: non è
contemplazione nostalgica del passato
ma dura preparazione
dell'avvenire.
Roma è il nostro punto di
partenza e di riferimento; è il nostro simbolo
o se si vuole
il nostro Mito. Noi sogniamo l'Italia romana
cioè saggia e
forte
disciplinata e imperiale. Molto di quel che fu lo spirito
immortale di Roma risorge nel Fascismo: romano è il Littorio
romana è la nostra organizzazione di combattimento
romano è
il nostro orgoglio e il nostro coraggio: «Civis romanus sum».
Bisogna
ora
che la storia di domani
quella che noi vogliamo
assiduamente creare
non sia il contrasto o la parodia della storia
di ieri. I romani non erano soltanto dei combattenti
ma dei
costruttori formidabili che potevano sfidare
come hanno sfidato
il
Tempo.
L'Italia è stata romana
per la prima volta dopo quindici secoli
nella guerra e nella
vittoria: dev'essere — ora — romana nella pace: e questa
romanità rinnovata e rinnovatesi ha questi nomi: Disciplina e
Lavoro. Con questi pensieri
i fascisti italiani ricordano oggi il
giorno in cui duemilaseicentosettantacinque anni fa — secondo
la leggenda — fu tracciato il primo solco della città
quadrata
destinata dopo pochi secoli a dominare il Mondo.
(segue...)
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