(segue) Il discorso di Napoli
(24 ottobre 1922)
[Inizio scritto]
Un anno fa
a Roma
ci siamo
trovati in un momento avviluppati da un'ostilità sorda e
sotterranea
che traeva le sue origini dagli equivoci e dalle infamie
che caratterizzano l'indeterminato mondo politico della capitale. Noi
non abbiamo dimenticato tutto ciò. Oggi siamo lieti che tutta
Napoli
questa città che io chiamo la grande riserva di
salvezza della Nazione
ci accolga con un entusiasmo fresco
schietto
sincero
che fa bene al nostro cuore di uomini e di
italiani; ragione per cui esigo che nessun incidente
neppure minimo
turbi la nostra adunata
poiché
oltre che delittuoso
sarebbe
anche enormemente stupido: esigo che
ad adunata finita
tutti i
fascisti che non sono di Napoli abbandonino in ordine perfetto la
città. L'Italia intera guarda a questo nostro convegno perché
— lasciatemelo dire senza quella vana modestia che qualche
volta è il paravento degli imbecilli — non c'è
nel dopo guerra europeo e mondiale un fenomeno più
interessante
più originale
più potente del Fascismo
italiano.
Voi certamente non potete
pretendere da me quello che si costuma chiamare il grande discorso
politico. Ne ho fatto uno a Udine
un altro a Cremona
un terzo a
Milano. Ho quasi vergogna di parlare ancora.
Ma data la situazione
straordinariamente grave in cui ci troviamo
ritengo opportuno
fissare con la massima precisione i termini del problema perché
siano altrettanto nettamente chiarite le singole responsabilità.
Insomma noi siamo al punto in
cui la freccia si parte dall'arco
o la corda troppo tesa dell'arco
si spezza!
Voi ricordate che alla Camera
italiana il mio amico Lupi ed io ponemmo i termini del dilemma
che
non è soltanto fascista
ma italiano: legalità o
illegalità? Conquiste parlamentari o insurrezione? Attraverso
quali strade il Fascismo diventerà Stato? Perché noi
vogliamo diventare Stato! Perché il giorno 3 ottobre io avevo
già risolto il dilemma.
(segue...)
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