(segue) Il primo discorso presidenziale
(16 novembre 1922)
[Inizio scritto]
Prima di giungere a questo
posto
da ogni parte ci chiedevano un programma. Non sono
ahimé!
i programmi che difettano in Italia: sibbene gli uomini e la volontà
di applicare i programmi. Tutti i problemi della vita italiana
tutti
dico
sono già stati risolti sulla carta: ma è
mancata la volontà di tradurli nei fatti. Il Governo
rappresenta
oggi
questa ferma e decisa volontà.
La politica estera è
quella che
specie in questo momento
più particolarmente ci
occupa e preoccupa.
Ne parlo subito
perché
credo
con quello che dirò
di dissipare molte apprensioni.
Non tratterò tutti gli argomenti
perché anche in
questo campo
preferisco l'azione alle parole.
Gli orientamenti fondamentali
della nostra politica estera sono i seguenti: i Trattati di pace
buoni o cattivi che siano
una volta che sono stati firmati e
ratificati
vanno eseguiti. Uno Stato che si rispetti non può
avere altra dottrina.
I Trattati non sono eterni
non
sono irreparabili: sono capitoli della storia
non epilogo della
storia. Eseguirli significa provarli.
Se attraverso la esecuzione si
appalesa il loro assurdo
ciò può costituire il fatto
nuovo che apre la possibilità di un ulteriore esame delle
rispettive posizioni. Come il Trattato di Rapallo
così gli
accordi di Santa Margherita
che da quello derivano
vengono da me
portati dinanzi al Parlamento.
Stabilito che
quando siano
perfetti
cioè ratificati
i trattati debbono essere lealmente
eseguiti
passo a stabilire un altro fondamento della nostra politica
estera: cioè il ripudio di tutta la fumosa ideologia
«ricostruzionistica».
Noi ammettiamo che ci sia una
specie di unità
o meglio
di interdipendenza della vita
economica europea. Ammettiamo che si debba riedificare questa
economia
ma escludiamo che i metodi fin qui adottati giovino allo
scopo.
(segue...)
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