(segue) Replica ai Senatori
(27 novembre 1922)
[Inizio scritto]
Non intendo uscire dalle leggi
non intendo uscire dalla costituzione
non intendo di improvvisare
del nuovo: l'esempio delle altre rivoluzioni mi insegna appunto che
non si può dar fondo all'universo e che ci sono dei punti
fondamentali nella vita dei popoli che conviene rispettare. Ma io
intendo che la disciplina nazionale non sia più una parola
intendo che la legge non sia più un'arma spuntata
intendo che
la libertà non degeneri in licenza
e non intendo nemmeno di
essere al disopra della mischia fra coloro che amano
che lavorano e
che sono pronti a sacrificarsi per la Nazione e coloro che invece
sono pronti a far tutto il contrario.
È di questo rollandismo
di questo insulso rollandismo che il Governo di ieri è perito;
non si può stare al disopra della mischia quando sono in
giuoco i valori morali
fondamentali della società nazionale;
e nessuno può dire che una politica nazionale siffattamente
intesa sia reazionaria.
Io non ho paura delle parole; se
domani è necessario
mi proclamo il principe dei reazionari;
per me tutte queste terminologie di destra
di sinistra
di
conservatori
di aristocrazia o democrazia
sono vacue terminologie
scolastiche; servono per distinguerci qualche volta o per
confonderci
spesso.
Non vi sarà una politica
antiproletaria e non vi sarà per ragioni nazionali
né
per ragioni di altro ordine. Noi non vogliamo opprimere il
proletariato
ricacciarlo verso condizioni di vita arretrate e
mortificanti; anzi vogliamo elevarlo materialmente e spiritualmente
ma non già perché noi pensiamo che il numero
la massa
la quantità possa creare dei tipi speciali di civiltà
nell'avvenire; lasciamo questa ideologia a coloro che si professano
sacerdoti di questa misteriosa religione.
Le ragioni per cui vogliamo fare
una politica di benessere del proletariato
sono affatto diverse e
ricadono nell'ambito della Nazione; ci sono dettate dalla realtà
dei fatti
dal convincimento che non ci può essere una Nazione
unita
tranquilla e concorde
se i nostri tre o quattro milioni di
operai sono condannati a condizioni di vita disgraziata
insufficienti; e può darsi
anzi è certo
che la nostra
politica operaia
antidemagogica
perché non possiamo
promettere i paradisi che non possediamo
riuscirà in
definitiva assai più utile alla massa lavoratrice dell'altra
politica
che l'ha incantata e mistificata nell'attesa inutile e vana
dei miraggi orientali.
(segue...)
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