Tempo secondo
(1 gennaio 1923)


      Articolo pubblicato su «Gerarchia» nel numero di gennaio del 1923:

      La rivoluzione fascista è già entrata nel suo secondo tempo. Nel primo le forze nuove si sono sostituite alle vecchie nel possesso della macchina statale. Ciò doveva essere necessariamente un atto improvviso e violento. I vecchi macchinisti sembrano assai lontani nel tempo, se non nello spazio. Ognuno sente che l'epoca dei Giolitti, dei Nitti, dei Bonomi, dei Salandra, degli Orlando e minori dei dell'Olimpo parlamentare, è finito. C'è stata fra l'ottobre e il novembre una gigantesca messa in liquidazione: di uomini, di metodi, di dottrine.
      Ciò appartiene oramai al regno dell'irrevocabile. Colle vecchie carte non si gioca più. Servivano, hanno servito: oggi nessuno azzarda più di raccattarle. Uomini nuovi, dunque, al volante della macchina. Ma la macchina è frusta. Due mesi di governo sono ampiamente bastati per convincersene. La quantità di lavoro arretrato è enorme. Gli uomini di governo, creature e vittime al tempo stesso, — in un giuoco diventato rapido e banale come un cinematografo — delle mutevoli situazioni parlamentari, non avevano tempo e volontà di agire. Il loro non era un governo, ma un passaggio. Non risolvevano i problemi, li rinviavano. Non assumevano personali e dirette responsabilità: ma dilatavano, queste, all'infinito. La burocrazia da esecutrice, diventava arbitra, in quanto essa sola rappresentava un principio di stabilità nella mutazione continua. Una politica presuppone anche il tempo per elaborarla, per condurla a termine, per garantirla. I ministri del vecchio regime non avevano questo tempo. Essi trascuravano la macchina dello Stato, poiché non erano mai sicuri di arrivare, in qualsiasi cosa, a una conclusione o a una meta. Davanti a questa situazione, si potevano scegliere due metodi: il russo ed il latino. La rivoluzione di Mosca, sostituite anche con la morte fisica le persone, si è gettata sulla macchina e l'ha frantumata in mille pezzi. Il pendolo è stato proiettato all'altro punto estremo. Errore. Ora torna indietro. La rivoluzione fascista non demolisce tutta intera e tutta in una volta quella delicata e complessa macchina che è l'amministrazione di un grande Stato: procede per gradi, per pezzi. Così accade che Mosca ritorna, mentre Roma si allontana — con inesorabile regolarità — dal punto di partenza. La rivoluzione fascista può prendere a suo motto: «nulla dies sine linea». Questo processo logico e sicuro sgomenta, più dell'altro, gli avversari della rivoluzione fascista. Manca la possibilità di speculare sulle «esagerazioni» del nuovo regime. Mosca dà l'idea di un terribile salto innanzi con conseguente rottura del collo. Roma dà l'idea di una marcia di quadrate legioni. Mosca si involve, Roma si sviluppa. Non v'è dubbio che il secondo tempo della nostra rivoluzione è straordinariamente importante. Il secondo tempo decide il destino della Rivoluzione. La linea da seguire sta fra i misoneismi di chi si spaventa di talune innovazioni e le anticipazioni di coloro ai quali sembra — e non è — di segnare il passo.

(segue...)