(segue) Agli operai del Poligrafico
(28 gennaio 1923)
[Inizio scritto]

      In primo luogo voi siete degli italiani. Io dichiaro che prima di amare i francesi, gli inglesi, gli ottentotti amo gli italiani, amo cioè coloro che sono della mia stessa razza, che parlano la mia stessa lingua, che hanno i miei costumi, che hanno la mia medesima storia; poi, mentre detesto i parassiti di tutte le specie e di tutti i colori, amo gli operai che sono una parte integrante della vita della Nazione.
      Gli operai, quando non siano illusi o mistificati dai falsi pastori di professione, benefattori di un ipotetico genere umano, sono ottimi padri di famiglia che amano i loro figli, che cercano di vivere una vita tranquilla, che sentono assai profondo il senso del dovere e della civica responsabilità.
      Vedo sui vostri petti in gran parte i segni del valore, del valore italiano. C'è stato un momento che io chiamerò di eclissi, in cui pochi osavano di portare sul petto i nastrini che sono la consacrazione di un dovere nobilmente compiuto. Oggi questo orgoglio rinasce.
      È logico: ed è giusto: ed è legittimo che le categorie dei lavoratori si difendano per migliorare le loro condizioni di vita, non solo materialmente ma anche moralmente. Ma per ciò fare non è necessario di seguire le chimere internazionalistiche, per ciò fare non è necessario di rinnegare la Patria e la Nazione, perché è assurdo, prima ancora di essere criminoso, rinnegare la propria madre.
      I vostri applausi sono troppo caldi per essere applausi di convenienza o di cortesia. Voi sentite che le mie parole portano, cioè che le mie parole entrano nei vostri animi, che le mie parole sono l'eco di stati di spirito da voi sentiti da qualche tempo. Io vi esorto a continuare a lavorare con assoluta tranquillità e con perfetta disciplina.
      Voi non avete nulla da temere dal mio Governo. C'è qualcuno che deve temere i rigori necessari del mio Governo.

(segue...)