(segue) La nuova politica estera
(16 febbraio 1923)
[Inizio scritto]
Il Governo, che qualche volta fa
precedere i fatti alle parole, ha già preso provvedimenti per
Zara; provvedimenti di indole economica, provvedimenti di indole
politica e spirituale. Altrettanto ha fatto per la Dalmazia.
Bisogna che riconosca con tutta
franchezza che, dall'avvento del Governo fascista, gli jugoslavi sono
stati meno intransigenti nei nostri riguardi.
Non è dubbio che la
definitiva esecuzione del trattato di Rapallo è motivo di
fiero dolore per i fiumani, per i zaratini, per i dalmati e per
moltissimi italiani del vecchio Regno.
In un altro momento ci sarebbero
state forse delle difficoltà.
Il Governo che ho l'onore di
presiedere non evita le difficoltà: le affronta, starei per
dire che le cerca.
Io intendo di sistemare nel più
rapido tempo possibile tutte le eredità più o meno
fortunate della nostra politica estera.
Non bisogna allarmarsi per quello
che succede. Io ho della storia e della vita una concezione che
oserei chiamare romana. Non bisogna mai credere all'irreparabile.
Roma non credette all'irreparabile neppure dopo la battaglia di
Canne, quando perdette il fiore delle sue generazioni; anzi ognuno di
voi certamente ricorda come il Senato romano movesse incontro a
Terenzio Varrone, il quale, pure avendo voluto impegnare la battaglia
contro il parere di Paolo Emilio, era certamente uno dei responsabili
della disfatta.
Roma cadeva e si rialzava:
camminava a tappe, ma camminava; aveva una meta e si proponeva di
raggiungerla.
Così dev'essere l'Italia,
la nostra Italia, l'Italia che portiamo nei cuori nostri come un
sogno orgoglioso e superbo; l'Italia che accetta il destino quando le
viene imposto da una situazione di dura necessità mentre
prepara gli spiriti e le forze per poterlo un giorno dominare.
(segue...)
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