(segue) Alla nuova sede dei mutilati
(11 marzo 1923)
[Inizio scritto]
Sono sicuro che nessuno di voi mi
invidia per il posto che occupo. Voi sentite che governare una
nazione, reggere il destino di quaranta milioni di uomini, avviare la
Nazione verso periodi di libertà, di giustizia, di prosperità
e di grandezza è impresa ardua, che fa tremare le vene e i
polsi. Ma mi considero al mio tavolo di capo di Governo come quando
sullo Javorcek o a quota 144 ero comandato di vedetta o di pattuglia.
Obbedivo come obbedisco oggi alla coscienza della Nazione, in
quest'opera assidua, aspra e quotidiana, nella quale si assommano
problemi che i Governi di prima non hanno mai osato di affrontare e,
rinviandoli, li hanno incancreniti. In quest'opera mi è sommo
conforto il pensare che non mi manca la solidarietà dei miei
compagni di pensiero.
È quasi automaticamente —
per una necessità profonda — che, superando la volontà
più o meno meschina degli uomini, si è determinata in
Italia una netta unione di forze e di spiriti. Da una parte la
vecchia Italia, che si attarda ancora a bamboleggiare formule, che
rimpiange certi miti che la realtà storica si è
incaricata essa stessa di frantumare irreparabilmente, obliqui
personaggi che hanno sempre una lagrima per il loro passato o per i
loro sedicenti mali, politicanti che quando danno qualche scarso
segno di vita, mi fanno l'impressione di larve che escano dai
cimiteri della preistoria. Dall'altra parte tutte le forze della
gioventù, tutte le forze sane e pure della Patria, tutti i
combattenti, i milioni e milioni di cittadini che hanno fatto la
guerra, che hanno oggi l'orgoglio di averla sostenuta sino alla
vittoria, che sentono di appartenere a una nuova generazione, che
vogliono difendere quello che nobilmente il vostro eroico Delcroix
chiamava la santità del sacrificio.
Sebbene tutte queste generazioni
si orientino necessariamente verso il Governo Nazionale e in ciò
è il sigillo di nobiltà e di forza del mio Governo, io
non vi nascondo che è un Governo duro, perché i compiti
sono duri e io non sono un medico eccessivamente pietoso. Vedo la
realtà come si presenta sotto ai miei occhi, non posso
ingannare me stesso e i miei cittadini dipingendo una realtà
fittizia e artificiosa. La realtà è questa: che la
Nazione ha bisogno di disciplina, di calma. La realtà è
questa: che i vecchi partiti non hanno più parole e più
vangelo da predicare alle moltitudini; quanto di giusto, di pratico,
di effettuabile, le vecchie dottrine contenevano è applicato
coraggiosamente dal mio Governo.
(segue...)
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