(segue) Alla nuova sede dei mutilati
(11 marzo 1923)
[Inizio scritto]

      Abbiamo afferrato il Governo in quella occasione, ma il fiume che sboccò a Roma a travolgere con la sua irresistibile fiumana i ripari, nei quali si intorpidiva una classe di politicanti miserabili, è un fiume dalle origini più lontane. Le origini rimontano al maggio del 1915: le sue origini rimontano a Vittorio Veneto. Tutte queste forze, tutti questi torrenti della nostra vita nazionale, a un dato momento, si sono ingrossati di tutte le fedi, di tutte le speranze, di tutte le passioni, di tutti i sacrifici ed hanno conquistato Roma e l'Italia. Oggi noi la teniamo saldamente e la terremo a qualunque costo contro chiunque.
      Ci sono dei problemi che devono essere risolti, abbiamo sulle braccia un'eredità pesante da liquidare. In fondo, tutto ciò che il Governo fa oggi è lavoro arretrato, è spazzamento di tutte le scorie e detriti, che ingombravano la coscienza nazionale. Poi verrà il lavoro gioioso, grande e solenne della ricostruzione. Non falliremo al nostro compito, se io e gli artieri che dividono le mie fatiche e la mia responsabilità saremo sostenuti dalla vostra solidarietà, se sentiremo di non essere soli, se avremo in voi dei fiduciosi collaboratori. La Patria conta ancora su di voi ed io, capo del Governo, sento che questa speranza non è fallace, sento che, se domani fosse necessario, tutte le nostre schiere si stringerebbero ancora, tutti i vostri spiriti si esalterebbero ancora e basterebbe questo per gridare, con spirito di assoluta passione, una sola parola: Italia!