(segue) AI Congresso femminile delle Tre Venezie
(1 giugno 1923)
[Inizio scritto]
E giacché l'occasione è
propizia, mi piace dire a voi donne fasciste e ai fascisti di tutta
Italia che il tentativo di separare Mussolini dal Fascismo o il
Fascismo da Mussolini è il tentativo più inutile, più
grottesco, più ridicolo che possa essere pensato.
Io non sono così orgoglioso
da dire che colui che vi parla ed il Fascismo costituiscano una sola
identità. Ma quattro anni di storia hanno dimostrato ormai
luminosamente che Mussolini ed il Fascismo sono due aspetti della
stessa natura: sono due corpi ed un'anima o due anime ed un corpo
solo.
Io non posso abbandonare il
Fascismo perché l'ho creato, l'ho allevato, l'ho fortificato,
l'ho castigato e lo tengo ancora nel mio pugno: sempre! Quindi è
perfettamente inutile che le vecchie civette della politica italiana
mi facciano la loro corte gaglioffa: sono troppo intelligente perché
possa cadere in questo agguato di mediocri mercanti da fiere da
villaggio.
Vi assicuro, miei cari amici, che
tutte queste piccole vipere, tutti questi politicanti avranno la più
acerba delusione.
Credere che io mi possa abbrutire
nella pratica parlamentare è credere l'assurdo. Sono, in
fondo, un discendente di gente del lavoro, ma uno spirito troppo
aristocratico per non sentire il disgusto della bassa cucina
parlamentare. Noi continueremo la nostra marcia severamente, perché
questo ci è imposto dal destino. Non torneremo indietro, non
segneremo nemmeno il passo.
Già dissi che noi non
abbiamo voluto proiettare il pendolo all'estremo per non vedercelo
dopo ricacciato all'altro estremo. Preferisco, come già dissi
in un articolo che sollevò tanto clamore in tutti gli
ambienti, preferisco di marciare continuamente, giorno per giorno,
alla maniera romana; di Roma che non si rassegna mai a nessuna
sconfitta, di Roma che accolse Terenzio Varrone reduce da Canne pur
sapendo che aveva impegnato una battaglia contro il parere opposto
del Console Paolo Emilio, ed era, in un certo senso, il responsabile
della disfatta; di Roma, che proibì alle matrone di uscire
dopo Canne perché col loro portamento addolorato non
turbassero la forza della cittadinanza — e non ce n'era bisogno
—; di questa Roma che riprendeva continuamente i capitoli della
sua storia, che trovava in ogni insuccesso i motivi per perdurare,
per serrare i denti.
(segue...)
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