(segue) Al popolo di Venezia
(4 giugno 1923)
[Inizio scritto]

      Questa terra che i poeti di Roma chiamano sacra agli Dei, è certamente una delle creazioni più straordinarie dello spirito umano e della storia. Noi eravamo già grandi quando in molte parti del mondo i popoli non erano ancora nati. Avevamo agitato fiaccole luminose di meravigliose civiltà quando il mondo conosciuto era immerso nelle tenebre della barbarie.
      Parve, dopo i superbi fastigi dell'Impero, che un lungo periodo di tenebre dovesse sommergere la nostra civiltà. Ma in quelle tenebre maturavano i germogli della nuova vita ed ecco, dopo l'eclisse, il Rinascimento glorioso, ecco per la seconda volta l'Italia pronunciare parole di significato universale.
      Altri secoli d'eclisse dovranno passare, ma ecco di nuovo prodursi il prodigio della rinascita.
      È appena un secolo, dal 1820, che l'Italia ha ripreso a camminare sulle strade segnatele dal destino.
      Quanti sacrifici, quanti sogni, quanta passione, quanto calvario, quanto sangue! Dalla sintesi del secolo che abbiamo vissuto possiamo avere l'impressione direi quasi plastica di qualche cosa di soprannaturale che sorge dal profondo, grandeggia, s'impone, trionfa. Trionfa per i morti che abbiamo salutato il 24 maggio sulle pietraie carsiche, nel cimitero di Redipuglia e sul San Michele.
      Tutti i popoli che hanno dovuto sostenere e vincere una grande guerra, anche gli inglesi dopo Waterloo, hanno conosciuto una crisi di depressione, di sfiducia, per il naturale rilassamento dei nervi e dei muscoli tesi nello sforzo spasmodico di combattere e vincere. Ma poi si produce il fenomeno contrario, si risente la nostalgia delle grandi giornate che si son vissute, si risente l'orgoglio dell'epopea di cento leggende, e quelli che non vi furono vorrebbero esservi stati, poiché là era il privilegio supremo della morte e della gloria.

(segue...)