(segue) I primi sei mesi di Governo
(8 giugno 1923)
[Inizio scritto]

      Scrive Cavour nel suo giornale Il Risorgimento: «Bisogna chiedere la costituzione», e questa fu promulgata il 4 marzo.
      Nel preambolo è detto: «Lo Statuto è la legge fondamentale perpetua e irrevocabile della Monarchia». Quattro giorni dopo si formò il primo ministero costituzionale di coalizione col moderato Balbo e il democratico Pareto, e poiché la frase: «lo Statuto è la legge fondamentale perpetua e irrevocabile della Monarchia» aveva ferito le orecchie dei democratici, Camillo Cavour si affrettava ad interpretarla, in senso relativo o relativista. Vale la pena di ascoltare attentamente questo brano di Camillo Cavour: «Come mai — affermava — si può pretendere che il legislatore abbia voluto impegnare sé e la Nazione a non mai portare il più leggero cambiamento diretto ad operare il menomo miglioramento di una legge politica? Ma questo sarebbe voler far sparire il potere costituente dal seno della società, sarebbe privarla dell'indispensabile potere di modificare le sue forme politiche a seconda delle nuove esigenze sociali, sarebbe un concetto talmente assurdo, che non poteva venir concepito da nessuno di coloro che cooperarono alla redazione di questa legge fondamentale. Una Nazione non può spogliarsi della facoltà di mutare con mezzi legali le sue leggi comuni».
      Non passò molto tempo che la cronaca dovette registrare una prima violazione dello Statuto, il quale presumeva e presume che per essere deputato bisogna essere cittadino italiano. Il giorno 16 ottobre si era verificata una divisione tra la Destra e la Sinistra. Nella prima vi erano i moderati ed i municipali, nella seconda i democratici, così detti «Teste bruciate», ed i repubblicani.
      Il 17 questi due partiti si trovarono uniti per proclamare, al disopra dello Statuto, che potevano far parte del Parlamento Subalpino tutti gli italiani di qualunque regione; e ciò all'unanimità. Il primo a beneficiare di questa violazione dello Statuto sarebbe stato Alessandro Manzoni, se il grande scrittore non avesse declinato il mandato con una lettera che è un monumento di castigatezza e di probità politica.

(segue...)