(segue) I primi sei mesi di Governo
(8 giugno 1923)
[Inizio scritto]
Nessuno, o signori, nessuno di noi
vuole abbattere o distruggere lo Statuto. Lo Statuto è
piantato solidamente nei suoi muri maestri; ma gli inquilini di
questo edificio, dal '48 ad oggi, sono cambiati; vi sono altre
esigenze, altri bisogni, non vi è più l'Italia
piemontese del 1848.
Ed è oltremodo strano
vedere fra i difensori dello Statuto quelli che lo hanno violato
nelle sue leggi fondamentali; quelli che hanno diminuito le
prerogative della Corona, quelli che volevano render la Corona
totalmente estranea alla politica della Nazione, facendone una cosa
morta e lontana nello spazio e nel tempo.
Si dice che questo Governo non ami
la Camera dei Deputati. Si dice che si vuole abolire il Parlamento o
svuotarlo di tutti i suoi attributi essenziali. Signori, sarà
tempo di dire che la crisi del Parlamento non è una crisi
voluta dal sottoscritto o da quelli che seguono le mie idee: il
parlamentarismo è stato ferito non a morte, ma gravemente, da
due fenomeni tipici del nostro tempo: da una parte il sindacalismo,
dall'altra il giornalismo; il sindacalismo, che raccoglie in
determinate associazioni tutti quelli che hanno interessi speciali e
particolari da tutelare e che vogliono sottrarli alla incompetenza
manifesta dell'assemblea politica; ed infine il giornalismo, che è
il parlamento quotidiano, la tribuna quotidiana, dove uomini venuti
dall'Università, dalle scienze, dall'industria, della vita
vissuta, vi sviscerano i problemi con una competenza che si trova
assai difficilmente sui banchi del Parlamento. Ed allora questi due
fenomeni tipici dell'ultimo periodo della civiltà
capitalistica sono quelli che hanno ridotto la importanza enorme che
si attribuiva ai Parlamenti. Insomma il Parlamento non può più
contenere tutta la vita di una Nazione, perché la vita delle
Nazioni moderne è eccezionalmente complessa e difficile.
Dire questo non significa dire che
vogliamo abolire il Parlamento. Affatto; anzi vogliamo migliorarlo,
perfezionarlo, correggerlo, farne una cosa seria, se è
possibile, una cosa solenne. E del resto, se volessi abolire il
Parlamento, non avrei presentato una legge elettorale. Questa legge
elettorale, a lume di logica, presuppone delle elezioni: si sa già
fin da questo momento che, attraverso a queste elezioni, vi saranno
dei deputati i quali comporranno il Parlamento; per cui nel 1924 vi
sarà un Parlamento.
(segue...)
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