(segue) Al popolo di Piacenza
(18 giugno 1923)
[Inizio scritto]
Noi dobbiamo imporre le dure
discipline e se qualche volta dobbiamo colpire le categorie, lo
facciamo per salvare la Nazione, per salvare il tutto che è
rappresentato dal popolo italiano.
Davanti a questa folla io evoco le
giornate di Napoli, quelle che si poterono chiamare la Sagra della
vigilia; avevo dinanzi a me 40.000 camicie nere venute da ogni parte
d'Italia, e questi magnifici campioni della nostra razza scandivano
in un ritmo che aveva del religioso e del solenne queste parole:
«Roma! Roma! Roma!».
Io tacevo perché non era
ancor suonata l'ora, ma la decisione era già maturata nel mio
animo. Dopo quattro giorni, Roma non era più soltanto un
grido: era una meta che avevamo raggiunta.
Perciò io dico a voi:
«Camicie nere, serbate purissima, immacolata la vostra fede. Il
fascismo ha preso Roma perché ne aveva il diritto, perché
in questa battaglia aveva lanciato a centinaia ed a migliaia i suoi
magnifici giovinetti. Il fascismo avendo questo diritto, lo rivendica
in pieno e sa che nei vostri cuori, o camicie nere, questa fiamma
brucia ancora e li riscalda e li esalta e li tiene pronti pei i
compiti che ancora ci attendono». Vi saluto gridando: «Viva
il Re! Viva l'Italia! Viva il Fascismo!».
|