(segue) Discorsi di Firenze
(19 giugno 1923)
[Inizio scritto]
Camicie Nere di Firenze e della
Toscana, Fascisti, popolo!
Dove trovare le parole necessarie
per esprimere la piena dei sentimenti che traboccano dal mio spirito?
La mia parola non può essere che inadeguata allo scopo; la
vostra accoglienza solenne, entusiastica, mi commuove fino nel
profondo dell'animo. Non è certamente soltanto a me che
rendete questo onore straordinario ma è, io credo, all'Idea di
cui sono stato banditore inflessibile.
Firenze mi ricorda i giorni in cui
eravamo pochi.
Qui tenemmo la prima adunata
gloriosa dei Fasci italiani di combattimento; dovevamo spesso
interrompere il nostro Congresso per scendere in piazza a disperdere
la vile canaglia.
Eravamo pochi allora; ebbene,
malgrado questa marea oceanica di popolo, io dico che siamo pochi
ancora, non già per i nemici che sono sgominati per sempre, ma
per i compiti grandiosi ed imperiali che attende la nostra Italia.
Io dicevo che i nemici sono
sgominati, poiché non faremo più l'onore di considerare
come nemici certi cadaveri della politica italiana che si illudono di
vivere ancora semplicemente perché abusano della nostra
generosità. Ditemi, dunque, o camicie nere di Toscana e di
Firenze, se è necessario di ricominciare, ricomincieremo?
(La folla grida: Sì! Sì!).
Questo vostro urlo potente più
che una promessa è un giuramento che sigilla l'Italia del
passato, l'Italia dei barattieri, dei mistificatori, dei pusillanimi
e apre il varco alla nostra Italia, a quella che portiamo
superbamente nei nostri cuori, di noi, nuova generazione che adora la
forza, che si ispira alla bellezza, che è pronta a ogni
rischio quando si tratta di sacrificarsi, di combattere e di morire
per l'Ideale.
(segue...)
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