(segue) La riforma elettorale
(15 luglio 1923)
[Inizio scritto]
In Sardegna (vedete che vi parlo
di una regione dove il Fascismo non ha le diecine di migliaia di
iscritti della Lombardia) ad Arbatax, scesero a me degli uomini dalla
faccia patita, vorrei quasi dire accartocciata, mi circondarono e mi
mostrarono una distesa dove un fiume imputridiva fra le canne
palustri, e mi dissero: «La malaria ci uccide». Non mi
parlarono di libertà, di Statuto e di Costituzione!
Sono gli emigrati della
rivoluzione fascista che sollevano questo fantasma che il popolo
italiano e ormai anche l'opinione pubblica estera hanno largamente
smontato.
E tutti i giorni ricevo decine di
Commissioni, e si abbattono sul mio tavolo centinaia di memoriali,
nei quali si può dire che le piaghe di ognuno degli ottomila
comuni d'Italia sono illustrate: sono veramente dei cahiers de
doleances. Ebbene, perché costoro non verrebbero a me a dirmi:
«Noi soffriamo perché voi ci opprimete?».
Ma vi è una ragione, un
fatto su cui richiamo la vostra attenzione. Voi dite che i
combattenti si sono battuti per la libertà. E come avviene
allora che questi combattenti sono per il Governo liberticida?
La forza e il consenso sono
veramente termini antagonistici? Affatto. Nella forza c'è già
un consenso, e il consenso è la forza in sé e per sé.
Ma insomma, avete mai visto sulla faccia della terra un Governo
qualsiasi che abbia preteso di rendere felici tutti i suoi governati?
Ma questa è la quadratura del circolo! Qualunque Governo,
fosse retto da uomini partecipanti alla sapienza divina, qualunque
provvedimento prenda, farà dei malcontenti.
E come vorrete contenere questo
malcontento? Con la forza. Lo Stato che cosa è? È il
carabiniere. Tutti i vostri codici, tutte le vostre dottrine e leggi
sono nulle, se a un dato momento il carabiniere con la sua forza
fisica non fa sentire il peso indistruttibile delle leggi.
(segue...)
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