(segue) La riforma elettorale
(15 luglio 1923)
[Inizio scritto]

      Io dichiaro che non farò le elezioni, se non quando sarò sicuro che si svolgeranno in stato di perfetta libertà e di indipendenza.
      E aggiungo che, mentre in sede di discussione politica io sono e devo essere intransigente, in sede di discussione tecnica mi affido, in certo senso, ai competenti. I competenti — ce ne sono moltissimi in quest'aula — diranno come la legge possa essere ancora di più maltrattata o perfezionata. Ma ciò riguarderà la Camera, e il Governo vi dichiara che non si rifiuta di accogliere tutti quei perfezionamenti che rendessero più agevole l'esercizio del diritto di voto.
      Questo riguarda in un certo senso i popolari, i quali devono decidersi. Io ho parlato chiaro, ma devo dire che non altrettanto chiaramente si è parlato da quei banchi. Il Governo non può accettare condizioni: o gli date la fiducia o gliela negate.
      Signori, voi sentite che in questa discussione c'è stato un elemento di drammaticità. In genere, quando le idee diventano anche passioni personali degli uomini, fanno elevare il tono di tutte le discussioni di tutte le Assemblee.
      Io concordo con tutti gli oratori i quali hanno affermato che il Paese desidera soltanto di essere lasciato tranquillo, di lavorare in pace, con disciplina: il mio Governo fa degli sforzi enormi, per arrivare a questo risultato, e li continuerà, anche se dovesse picchiare sui propri aderenti, perché avendo voluto lo Stato forte è giusto che essi siano i primi ad esperimentarne la forza.
      Ho anche il dovere di dirvi, e ve lo dico per debito di lealtà, che dal vostro voto dipende in un certo senso il vostro destino.
      Non vi fate anche in questo terreno delle illusioni, perché nessuno esce dalla Costituzione; né io né altri; e nessuno può supporre nemmeno che io non sia ampiamente garantito, secondo lo spirito e la lettera della Costituzione.

(segue...)