(segue) Al popolo di Torino
(24-25 ottobre 1923)
[Inizio scritto]
Perché, o signori, la
libertà senza ordine e senza disciplina significa dissoluzione
e catastrofe. Il popolo italiano che è certamente più
sano spesso di coloro che presumono di rappresentarlo, apprezza i
vantaggi di questo regime che impone la disciplina necessaria.
Non siamo in un momento facile,
specialmente in Europa. La nave è sbattuta dai flutti: è
necessaria la disciplina più assoluta. Solo quando sarà
passata la prima tempesta si potrà dare libertà agli
equipaggi; prima no: sarebbe delitto. Il consenso che viene a noi e
alla nostra opera è determinato dal fatto che il Fascismo è
forza spirituale e religione. Potrà errare negli uomini o nei
gruppi, ma la fiamma che sorge dal Fascismo è immortale.
Nello stesso giorno, il Duce passò
dal Municipio alla Prefettura, e qui pronunziò dal balcone, al
popolo adunato, il seguente discorso:
Popolo di Torino! la tua anima
gagliarda, guerriera e operosa, mi è venuta incontro stamane
con tutti i palpiti della tua fede, ed io ti ringrazio dal profondo
del cuore. Non è senza meditazione che fra tutte le date ho
scelto il 24 ottobre. Cinque anni fa le nostre divisioni, i soldati
del nostro eroico Esercito, scattavano all'assalto nella battaglia
che decise delle sorti della guerra mondiale. Ricordiamo questa
gloriosa data fra tutte le date della nostra storia. La vittoria
nostra è vittoria immortale. Il Bollettino che la rammenta
sfida i secoli. Non è senza profonda commozione che vedo nella
moltitudine ufficiali di tutte le armi del sacro Esercito. A lui va
tutto il plauso, tutta la riconoscenza della Patria. Questo è
un baluardo che tutela le nostre speranze e la nostra sicurezza; la
Nazione può contare sull'Esercito oggi, domani, sempre.
C'è un altro motivo che mi
ha fatto scegliere questa data. Un anno fa a Napoli vi fu la grande
adunata delle Camicie Nere. Ricordo che quella sera 40.000 Camicie
Nere che gremivano la Piazza del Plebiscito scandivano con voce
semplice e terribile la parola «Roma». Sentivano questi
uomini venuti da tutti i borghi, da tutti i casolari d'Italia, che se
noi non avessimo preso Roma, il Fascismo avrebbe fallito al suo
compito, avrebbe mancato alla meta. Tre giorni dopo noi prendemmo la
città eterna, e iniziammo l'opera di rastrellamento e di
polizia che non è ancora finita e che deve continuare. Io vi
accerto che quest'opera continuerà inflessibilmente,
tenacemente, sistematicamente. Ora noi teniamo Roma non per ambizione
o per profitto o per vanità personale: la teniamo e la terremo
contro chiunque, finché l'opera iniziata non sia completa:
fino a che le opposizioni più o meno meschine e miserabili
siano infrante per sempre. (Lunghissime ovazioni).
(segue...)
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