Capodanno
(3 gennaio 1924)
Con questo breve
discorso, pronunziato il 3 gennaio in risposta al saluto augurale
dell'On. Oviglio, per la consueta visita di Capodanno dei Ministri e
Sottosegretari di Stato, ha inizio l'attività del 1924. È
questo uno degli anni più intensi e pugnaci del primo periodo
del Regime: in esso il Fascismo fu obbligato a difendersi, nel
momento migliore della sua attività elevatrice, da un'ignobile
canea calunniatrice intenta a speculare sopra un cadavere; in esso
però il Fascismo non interruppe il suo cammino e procedé
combattendo, con la visione precisa delle mete da raggiungere. A
quest'anno di lotta appartengono infatti alcune delle più alte
affermazioni ideali, come il discorso per la Marcia al Cardello e il
«Preludio al Machiavelli»: al di sopra della lotta
politica, al di sopra della calunnia più nefanda, destinata a
stroncarsi per la sua stessa ignominia, si riafferma in quest'anno,
negli scritti del Duce, la visione luminosa del suscitatore di
coscienze, del creatore di civiltà.
Colleghi!
Prima di tutto il mio vivo
ringraziamento per le parole così vibranti or ora pronunciate
dal mio amico Oviglio. E un ringraziamento non meno cordiale a tutti
voi che mi siete stati in questa lunga fatica preziosi e devoti
collaboratori. Se noi rifacciamo il cammino percorso e stabiliamo
quello che si potrebbe dire, in linguaggio contabile, il bilancio
della nostra attività politica, non vi è dubbio che
esso si chiude con un grande attivo. E lo dico io che sono piuttosto
pessimista per natura e non incline al facile ottimismo. Non abbiamo
compiuta tutta l'opera: ci vorrà ancora molto tempo. Ma
abbiamo preparato tutte le condizioni necessarie e sufficienti perché
quest'opera sia compiuta. Già dissi altra volta che la
politica non è un'arte facile: è più difficile
di tutte le altre, perché lavora la materia più
inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica
lavora sullo spirito degli uomini che è un'entità assai
difficile a definirsi e in ogni caso è mutevole. Sullo spirito
agiscono gli egoismi, gli interessi, le passioni. Assommate tutto ciò
nella Nazione, e vedrete che lavorare su questo elemento complesso,
cioè indirizzare questa massa di uomini verso determinate
direzioni, per arrivare a certe mete, non è una cosa semplice:
è infinitamente difficile. Si tratta prima di tutto di
ristabilire l'idea dello Stato e fissare lo stile del Governo.
Abbiamo il merito di aver fatto del Governo una cosa viva,
palpitante, operante nel seno della Società Nazionale; non il
Governo abulico e amorfo, che si lascia insidiare e insultare in una
specie di duello ridicolo per cui l'opposizione sarebbe sacra e
intangibile: avrebbe tutti i diritti, mentre il Governo avrebbe
l'unico dovere di costituire un comodo e indulgente bersaglio.
Dichiaro che questa è una teoria assolutamente suicida e che
se in tale teoria si compendia la dottrina del liberalismo, io mi
dichiaro nettamente antiliberale. Abbiamo dato una disciplina agli
italiani. Non è perfetta, sono io stesso il primo a
riconoscerlo. Ma per avere un'idea del cammino percorso, bisogna
stabilire dei termini di confronto e vedere che cosa era l'Italia nel
'19 e nel '20, che cosa fu nel '21 e '22, che cosa è stata nel
'23. Gli episodi sporadici di violenza, che noi deploriamo e
reprimiamo con mesi e talvolta con anni di carcere, non si aboliscono
in un batter d'occhio, come si presume da taluni. Non bisogna credere
che anche prima del 1914 non ci siano stati: non si deve credere che
l'Europa prima del 1914 sia sempre vissuta nel latte e miele e che i
tempi della violenza coincidano coll'avvento del Fascismo. La storia
politica d'Europa, dal '70 al 1914 voi la vedrete tempestata di atti
di violenza terribili e individuali e collettivi. Le elezioni
scandalose a base di mazzieri — ad esempio — sono nelle
cronache politiche dell'Italia prima del 1914. Bisogna introdurre,
parlando di disciplina, il criterio del relativo pure tendendo con
tutte le forze all'assoluto.
(segue...)
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